Mdou Moctar – Tears of Injustice (2025)
di Paolo Panzeri
Con "Tears of injustice" il chitarrista del Niger Mahamadou Souleymane, in arte Mdou Moctar, giunge a pubblicare il suo ottavo album.
Un album che altro non è che la versione uplugged del precedente "Funeral for Justice", uscito nel maggio dello scorso anno. Storia vuole che il musicista fosse in tour negli Stati Uniti con il suo gruppo - il chitarrista Ahmoudou Madassane, il batterista Souleymane Ibrahim e il bassista americano Mikey Coltun – a presentare dal vivo "Funeral for Justice", quando una giunta militare ha messo in scena l'ennesimo colpo di stato impedendogli di tornare a casa in Niger. La band ha quindi pensato di utilizzare questo periodo di esilio forzato per recarsi in uno studio di registrazione newyorkese ed incidere una versione acustica delle canzoni di "Funeral for Justice" (tutte tranne una, "Djallo #1"), nel nuovo disco i brani sono infatti contraddistinti dalla dicitura Injustice Version. E già che si gioca alle differenze tra le due uscite sorelle: la copertina color della sabbia del primo celebra il 'funerale della giustizia' in pieno deserto con un rapace sporco di sangue, l'artwork azzurro cielo del secondo mostra in primo piano il medesimo rapace e subito dietro 'la lacrima dell'ingiustizia'.
Giustizia e ingiustizia. Ebbene sì, le canzoni di Mdou Moctar sono canzoni principalmente politiche, di denuncia per il miserabile stato in cui versano le genti del suo Niger, della sua Africa e, per estensione, del mondo intero. Sono canzoni che puntano il dito contro le diseguaglianze e che vogliono provare a infondere un minimo di speranza per un futuro che dalle sue parti assomiglia da sempre a una chimera. I brani che in "Funeral for Justice" erano guidati dal suono di una chitarra sovente indiavolata, urlante e lancinante; in "Tears of injustice" si fanno notturni, rallentati e ipnotici, si trasformano in un blues del deserto legato alla tradizione tuareg con venature psichedeliche. La parola nella nuova versione prende il sopravvento e va a porre solo un poco dietro l'accompagnamento musicale. Mdou Moctar toglie elettricità per mettere ancora più in evidenza il messaggio che vuole veicolare, aldilà di come lo si vuole agghindare musicalmente.
Per godere appieno di "Tears of injustice" è consigliabile affiancargli l'ascolto di "Funeral for Justice", e viceversa. L'uno completa ed esalta l'altro, poichè i brani non sono una pedissequa riproposizione con diversa foggia. Nella nuova uscita questi vengono stravolti, modificati, allungati a dismisura (vedi gli otto minuti di "Imouhar") oppure compressi e sfrangiati (l'inno anti colonialista "Oh France") senza perdere una virgola della loro efficacia: sono proprio altre canzoni con lo stesso titolo. La musica di Mdou Moctar è musica dell'anima e con quella difficilmente ci si sbaglia. Anzi non ci si sbaglia mai.
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