Brunori Sas – L’albero delle noci (2025)
di Claudio Lancia
Di Sanremo 2025 abbiamo già diffusamente parlato, evidenziando quanto abbiano giovato al Festival le presenze di Lucio Corsi, Joan Thiele e Brunori Sas, utili a ribadire alla platea nazional-popolare l'importanza di ciò che accade nel sottobosco musicale di casa nostra, nonché la qualità di certo songwriting che continua a restare patrimonio di un pubblico troppo ristretto. Grazie al megafono del Teatro Ariston ogni tanto si riesce però a fare un minimo di giustizia, e "L'albero delle noci", la canzone portata in gara da Dario Brunori, ha raggranellato riconoscimenti di tutto rispetto: un insperato (alla vigilia) terzo posto, più l'ambito Premio Sergio Bardotti per il Miglior Testo. Si tratta di un brano che racconta l'incontenibile gioia della paternità, composto per la piccola Fiammetta, nata nell'ottobre del 2021. E poco importa se la modalità con la quale il cantautore cosentino imposta il registro vocale della strofa si approssima in maniera calligrafica al De Gregori di "Rimmel", smentendo le affermazioni immortalate in uno spassoso siparietto con Michela Giraud (recuperatelo su YouTube, un vero spasso) secondo le quali Dario saprebbe imitare soltanto Tiziano Ferro e Franco Califano.
Battute a parte, oggi Dario Brunori, classe 1977, dopo cinque album molto apprezzati dalla critica, è riuscito a raggiungere il più alto livello di popolarità della sua carriera, tanto che prossimamente avrà l'opportunità di suonare nei palasport e in alcune delle arene italiane più prestigiose, in due serate speciali accompagnato anche da un'orchestra. Per imprimere la direzione stilistica al nuovo disco, cui spetta il compito di consolidarne fama e visibilità, ha scelto di farsi affiancare da Riccardo Sinigallia, il quale ha co-prodotto (e si sente) l'album e partecipato alla scrittura di diverse canzoni, in un caso anche con l'ulteriore contributo di Antonio Dimartino. Fra l'altro i tre si sono esibiti insieme nella serata sanremese dei duetti, eseguendo l'acclamata cover de "L'anno che verrà" di Lucio Dalla. Ma tornando a "L'albero delle noci", si tratta di un album stilisticamente piuttosto eterogeneo, dove accanto all'impeccabile eleganza formale di brani come "Per non perdere noi", vero gioiello cantautorale, e "La vita com'è" (già nella colonna sonora del film "Il più bel secolo della mia vita", con tanto di nomination ai David di Donatello) le chitarre prendono spesso il centro della scena, delineando un'inedita urgenza "rock", ribadita in "La ghigliottina", "Il morso di Tyson" e "Più acqua che fuoco".
Brunori frulla nello stesso contenitore citazioni colte e popolari, mescola alto e basso (un po' alla maniera di Francesco Bianconi) affiancando alle raffinate atmosfere jazzy del notturno esterno "Luna nera", lo stornello "Pomeriggi catastrofici", un quadretto sull'eterna immutabilità della vita familiare in provincia. La provincia, le radici, che emergono anche nell'inconsolabile dolore di "Fin'ara luna", ode inviata dal protagonista del racconto alla compagna di una vita volata via. Nascita, amore e morte, questi i temi prevalenti del lavoro, che, in un'alternanza tra ironia e malinconia, si chiude riprendendo il tema del diventar padri, sempre in maniera decisamente personale. Piccoli squarci di ordinaria quotidianità che Dario riesce a rendere universali, imponendosi con un progetto davvero riuscito, a oltre cinque anni dal precedente "Cip!", frustrato a livello promozionale dall'arrivo della pandemia e di tutti i decreti sul distanziamento che ne conseguirono. Ricordiamo una splendida performance (fu possibile seguirla esclusivamente in streaming) al Barezzi Festival 2020, in un Teatro Regio (quello di Parma) deserto.
Riacquisita la normalità, oggi Brunori sfodera uno degli atti più riusciti e incisivi del proprio percorso artistico, imponendosi in maniera definitiva fra i migliori cantautori italiani, non soltanto della sua generazione.
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