The Delines – Mr. Luck & Ms. Doom (2025)
di Giovanni Davoli
Per poterne scrivere in italiano, ad un pubblico italiano, dei The Delines servirebbero le capacità di un mediatore culturale. Innanzitutto, va considerata la centralità dei testi in quello che è il loro prodotto artistico. Già lì, se non sei fluente in inglese, c’è una prima barriera. Voi mi direte pure Bob Dylan cantava in inglese e all’epoca quando divenne famoso da noi e in mezzo mondo non c’era neppure internet. Giusto. Però forse Dylan cantava di cose che a noi potevano arrivare, con cui tutti potevamo connetterci e per le quali tutti potevano entusiasmarci anche se capivamo solo una frazione di quel che cantava: la pace nel mondo, la difficoltà nelle relazioni, ecc…
Mr. Luck è un criminale fallito. Ms. Doom è una donna delle pulizie depressa. S’incontrano e fanno del gran sesso. E gli va pure di lusso, rispetto alle altre coppie di cui il disco parla. Amy Boone, la cantante, racconta che a un certo punto prese da parte Willy Vlautin, il songwriter e gli disse: “Ascolta, bello, devi scrivermi una vera e propria canzone d’amore in cui nessuno muore e niente va storto, o finisce che sbrocco”. Mr. Luck & Ms. Doom è il risultato di cotanto sforzo che Vlautin deve aver preso alla lettera: nessuno muore e niente va storto, ma insomma non è che ci sia da morire d’allegria. E chissà se è un caso che il disco esca il giorno di San Valentino, o una presa per i fondelli. Ma, dicevo, va meglio a loro che ai protagonisti di Her Ponyboy, giovani vagabondi che “s’iniettavano droga in Louisiana”. E poi c’é Nancy and her Pensacola Pimp, cioè Nancy con il suo pappone di Pensacola, che la sfrutta da quando aveva 16 anni e poi a 18 anni gli chiede di sposarla, ma qualcuno gli taglierà la gola per rubargli la macchina…
Quanta sfiga nel mondo dei The Delines, direte voi. Nè più né meno di quanta, in media, hanno i personaggi di Vlautin, che oltre a fare il musicista e il chitarrista e l’autore di canzoni, fa anche il romanziere. La sua ultima opera letteraria. “Il cavallo”, l’avevamo raccontata qui. Eppure, dicevamo allora, la speranza accompagna spesso i suoi protagonisti. Non è certo quel che si percepisce in There’s Nothing Down the Highway: “Non c’è niente lungo l’autostrada se non l’oscurità della strada / Chiedimelo perché lo so.”
Ecco, l’autostrada. Un tema che torna spesso nella letteratura e nelle canzoni americane. Chi da noi in Italia ha mai scritto una canzone sull’autostrada? Con tutto che le loro autostrade sono molto più noiose delle nostre. Chilometri e chilometri (pardon, miglia e miglia) di nulla. Eppure per gli americani l’autostrada rappresenta qualcosa, una speranza perlomeno che porti verso una vita migliore. Speranza che Vlautin pare aver perduto in questo disco, come si dedurrebbe dalla stessa copertina del disco: un nulla desertico, a parte un cane vagabondo e solitario e un cartello stradale. Anche se uno scrittore non è quel che scrive: ne scrive e basta.
Insomma, mi accorgo che sono tre anni che cerco di parlare dei The Delines agli italiani, in italiano (vedi qui la recensione del precedente album). E alla fine mi ritrovo sempre a parlare più dei testi che della musica. Ma c’è poco da fare: come Dylan, più di Dylan, se ci si ricorderà dei The Delines sarà innanzitutto per i testi, per queste storie che non si capisce da dove Vlautin le tira fuori. Eppure, sono vere, reali, veritiere. Trasudano realtà, seppur una realtà lontana un oceano da noi.
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