Anna B Savage - You And I Are Earth (2025)
di Stefano Solventi
Mettiamola così: questo non è un disco che racconta il presente. Proprio per questo, è in tutto e per tutto un disco frutto del presente. Perché, se mi perdonate il gioco di parole, il presente non è presente a se stesso. Viviamo in uno stato di sradicamento rispetto all’esserci, di sistematica distrazione, o – meglio – scivoliamo tra le innumerevoli attrazioni, cercando continuamente nuovi motivi che sostituiscano i motivi esausti, altri stimoli, altri pungoli. Non essere qui è diventato il modo migliore e più efficace per essere, perché spinge a condividere con il distante e renderlo in tal modo prossimo. Sembra che questa prossimità artificiale conti più della prossimità reale: ogni testa abbassata sullo schermo dello smartphone conferma questa sensazione, no? Ok, ma qui bisogna parlare di un disco, di canzoni, di musica. Ne convengo. E quindi, provvedo subito.
Anna B Savage giunge al fatidico traguardo del terzo lavoro – dopo A Common Turn del 2021 e in|FLUX del 2023 – concedendosi una sensibile deviazione che in parte stupisce: rispetto all’angolazione ricercata e a tratti sperimentale dei predecessori, You & i are Earth è infatti un album di folk cantautorale, attraversato sì da un certo tumulto, e sì caratterizzato da arrangiamenti che lavorano di sottigliezza, però tutto sommato mantenendosi entro gli steccati della tradizione. Eppure, non suona retrivo, anzi: questo rannicchiarsi in forme folk riconoscibili acquista senso e sostanza nella consapevolezza stessa di tutto ciò che Savage decide di lasciare fuori. In altre parole: la cassetta degli attrezzi “arty” sta nascosta nel ripostiglio, e da lì emana vibrazioni. Che puntualmente avverti a partire dal canto, sempre in bilico tra l’impeto pensoso di una Tori Amos e le trascendenze ventrali di ANOHNI, però covando in petto la lezione irrinunciabile dei Tim Buckley, di Linda Perhacs, di Sandy Denny.
Alla suddetta connessione – modalità esistenziale a cui tutto oggi sembra entusiasticamente tendere, come se fosse l’obiettivo ultimo della nostra specie -, Savage preferisce conferire a queste otto canzoni un senso stratificato e trasversale di congiunzione. La differenza, ne converrete, non è sottile: qui si tratta di corpo, di emozioni, di sensi, seppur distillati attraverso una sensibilità che oserei dire letteraria. Sensi, appunto, chiamati a dettare le melodie, i testi, le palpitazioni ritmiche, le trame sonore, nonché – ovviamente e appunto – il timbro della voce, con l’obiettivo di circoscrivere almeno due forme di radicamento, due affettività diverse e complementari: l’amore per una persona e l’amore per un luogo (per una terra, per la sua natura e cultura).
La terra in questione non è affatto un mistero. Savage stessa ha presentato l’album dichiarando con disarmante semplicità che si tratta di una “una lettera d’amore a un uomo e all’Irlanda”. Ma è molto di più: è la dimostrazione che ci sono forme di amore capaci di rovesciare il tavolo anche se ti sembra di averle sentite molte volte. Non si esauriscono, perché si mettono e ti mettono sempre in gioco. E che, come per ogni gioco, prevedono regole: nei crediti di questo You & i are Earth dominano infatti collaboratori irlandesi, come il produttore John ‘Spud’ Murphy (già all’opera con Caroline, Black Midi, Lankum…) nonché i musicisti Anna Mieke, Cormac MacDiarmada (dei Lankum, appunto), Kate Ellis e Caimin Gilmore (rispettivamente violoncellista e contrabbassista dei Crash Ensemble).
Tutto quanto scritto fino a qui non avrebbe granché senso né peso specifico se le canzoni non fossero, beh, molto belle. Bastano una manciata di secondi dell’iniziale Talk To Me per ritrovarsi – in sella a un arpeggio tanto intenso quanto inafferrabile – in una brughiera mentale abitata di trepidazione che azzera la distanza tra testa e cuore, tra carne e sentimento. Si tratta di uno di quei tipici casi in cui si dovrebbero citare tutte, perché ognuna per qualche motivo lo merita. Mi limiterò a pescare dal mazzo una Mo Cheol Thu? che fa stare insieme i pomeriggi caliginosi di Tanworth in Arden e l’occhio di bue di un teatro off a Broadway, una title track che immerge struggimento cameristico in un paesaggio di Turner, Donegal e Agnes con il loro tumulto al tempo stesso serico e contundente, quindi una Lighthouse che stempera il passo folk-rock à la Laurel Canyon in uno scorcio impressionista marezzato di malinconie cinematiche.
Inutile aggiungere altro, se non ribadire che con questo disco Anna B Savage ha tenuto fede ad ogni aspettativa, permettendosi un passo di lato che le consente di tenere aperte tutte le ipotesi future. Gran disco di una grande cantautrice.
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