Temples - Sun Structures (2014)


Punto primo: la dissonante sensazione di ammettere che la musica, per essere apprezzata e apprezzabile, possa anche essere scorrevole, piacevole, semplice, orecchiabile, radiofonicamente azzeccata è presente. Punto secondo: lo scetticismo del pre-ascolto, vuoi per la montatura creatasi attorno a una band che crea circuito comunicativo da inizio 2013 oppure per una sorta di continuo piacere al riciclo psichedelico di inizio anni Dieci è svanito. Punto terzo: i Temples sono una band valida.

Lo sono perché nell'ascoltare il loro esordio "Sun Structures" su Heavenly Recordings emerge quel valore discografico da collettivo pronto ad affollare stadi e arene, per i giri armonici che s'incollano con estrema facilità alle pareti otorine, per le capacità melodiche del frontman James Edward Bagshaw: indubbiamente debitore delle composizioni indiane degli "scarafaggi", il giovane non pecca di presunzione, infilando uno dopo l'altro ritornelli che restano e resteranno.
Quella neo-psichedelia che ha contraddistinto "Lonerism" dei Tame Impala (non paragoniamoli sempre e solo agli australiani) è dissimulata nella struttura inglese: in "Sun Structures" i Temples mostrano il lato patriottico della Regina Madre, evidenziadosi di caleidoscopici colori brit, prendendo spunto dagli evidentemente non dimenticati Kinks, ma anche dalle costruzioni prog europee - vedi Olanda dei Focus - più che dalla lisergia d'oltreoceano.

Ascoltare l'esordio di quelli di Kettering nel Northamptonshire, famosa per la produzione di scarpe e stivali e sita nella "contea dei fiori", porta una certa meraviglia; scoprire che circa i tre quarti del disco siano incastri sonori concreti e tangibili, inappuntabili composizioni di linee melodiche che non inventano, ma pensano e codificano perfettamente il messaggio, crea leggerezza e divertimento.
"The Golden Throne" dai melodici tessuti "italo-francesi", la ballerina "Keep In The Dark", l'ariosa "Colours To Life", la metropolitana "A Question Isn't Answered" sono pezzi che si cantano dopo due ascolti: importante; anche le "chitarre minori armoniche", affidate allo stesso Bagshaw e Adam Smith, o la batteria "profonda" di Sam Toms sono tempi verbali facilmente memorizzabili per stile e concetto ("Shelter Song", "Sun Structures") a precedere il finale del disco che, sì, richiama gli ultimi Tame Impala.

Stufi di arricciare il naso su contenuti semplici ma efficaci, ripieghiamo alzando bandiera bianca, per un esordio che va contro tutti i castelli in aria del presente. Un album che può candidarsi come fiero protagonista dell'anno appena iniziato, muovendosi a ritmo dei pantaloni a zampa e dei colori saturi, ma che può significare qualcosa nella rigenerazione di certa pop music. 

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