Pixies - The Night the Zombies Came (2024)

 di Imma I

Ma perché crescere, maturare, (e diciamolo) invecchiare dovrebbero far male se si riescono a mantenere integri la creatività, il talento, l’arte? Dopo l’ascolto di questo album a me sembra che almeno per i cantori di Boston proceda tutto veramente bene.

Interpretare la musica alternative rock in chiave moderna, in un periodo in cui persino l’aggettivo ‘alternativo’ sembra essere desueto è oltre il coraggioso, più vicino all’eroico, all’epico, di classe. Ed è tutto ciò che scatena l’ascolto di questo nuovo album in studio dei Pixies, “The Night The Zombies Came”, che arriva a distanza di due anni dal precedente “Doggerel”.

Si inizia con Primrose e si procede con le altre canzoni, fino alla sesta traccia ci si chiede: – “Ma insomma dov’è la beffa? La ripetizione? L’inganno? Datemi qualcosa che non mi piaccia, qualcosa per poter dire mmm… già sentito…” E invece no, fino alla fine delle tredici canzoni ogni attacco è uno stupore, nulla si ripete e tutto sembra perfettamente amalgamato in un album che si rivela una piacevolissima sorpresa verso l’ormai conclusione di questo 2024.

“The Night The Zombies Came” è uscito a pochi giorni da Halloween e sembrava prefigurare scenari orrorifici, atmosfere cupe e distorte, arrangiamenti tetri e invece è un album intrinsecamente profondo, ricco di immagini, di parole, di storie, gli unici fantasmi che si prefigurano sono quelli del passato, quelli della mente, quelli che risiedono nei nostri ricordi: i morti viventi che ci portiamo dentro. Non mancano i testi visionari del paroliere Black Francis Charles Thompson, come nel caso di Chicken, o Jane (The Night The Zombies Came) – quasi omonima al titolo dell’album. Il disco non è affatto scontato, o prevedibile, vista anche la nuova formazione che dal vivo sembra non far rimpiangere i tempi passati: Black Francis, David Lovering, Joey Santiago e Emma Richardson (ex degli Band of Skulls e che arriva dopo Kim Deal e Paz Lenchantin) garantiscono al loro pubblico ottimi momenti musicali.

L’alternative rock appare e scompare, lasciando il posto a tracce punk come la ben calibrata Oyster Beds, a belle schitarrate dai tratti AOR di Joey Santiago in Hypnotised e all’accattivante singolo Motoroller che sembra essere stato scritto apposta per creare dipendenza e da riascoltare a loop. The Vegas Suite è la ballad che chiude l’album e che riprende Que sera, sera (Whatever Will Be, Will Be) di Doris Day.

Per quanto mi riguarda non ho trovato nessun pezzo sbagliato in questo album, l’ho ascoltato senza distrarmi fino alla fine, gli arrangiamenti sono ottimi, non si percepiscono imperfezioni ed è stato fatto di tutto per dare ai fan ancora una volta: buona nuova musica.

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