MJ Lenderman - Manning Fireworks (2024)

È dura essere un giovane aspirante musicista indie. Devi lavorare in una gelateria o fare il giardiniere, salvo poi scoprire che oggigiorno in Carolina del Nord si guadagna di più col sussidio di disoccupazione. In un certo senso, pertanto, è stato lo stato a sovvenzionare l’ascesa artistica di MJ Lenderman, fino a un paio di anni fa (quasi) un perfetto sconosciuto, per poi diventare il nuovo wonderboy del folk-rock a stelle e strisce. Questo grazie alle prime pubblicazioni su Bandcamp e soprattutto a ‘Boat Songs’, che a soli 23 anni era già il suo terzo LP, benché il primo ad essere notato da un pubblico numericamente rilevante.

Da quel momento è stato un po’ come se si fosse stappata una bottiglia di champagne per MJ, che sta per i suoi nomi di battesimo Mark Jakob ma anche un po’ per Micheal Jordan, suo idolo di gioventù alla pari di Mark Linkous, Jason Molina, i Sonic Youth, Jimi Hendrix e gli Smashing Pumpkins. Tutta gente che aveva dato il meglio prima della sua nascita, avvenuta nel 1999, ma che ha saputo recuperare grazie alla collezioni di dischi dei genitori, religiosi ma non integralisti, che gli hanno permesso di lasciare la scuola cattolica per iscriversi a quella pubblica e poter seguire i corsi di musica. Ascolti che gli hanno trasmesso la versatilità necessaria per suonare la batteria nella band di Indigo De Souza, la chitarra nei Wednesday, ed essere notato da Waxahatchee e convocato per aiutarla a registrare il recente ‘Tiger Blood’.

Come è naturale che sia, è però nel lavoro solista che emerge nella sua completezza il precoce talento di cantautore del 25enne di Asheville. ‘Manning Fireworks’, il suo quarto LP in autonomia, è una miscela di alt-country e slacker-rock raffinata ma anche ruvida, con testi ironici quanto amari che descrivono una serie di personaggi caricaturali e (purtroppo) assai contemporanei. ‘Wristwatch’, ‘She’s Leaving You’ e ‘On My Knees’ sono le canzoni che meglio mettono in mostra il folk-rock elettrico di Lenderman, che si appiccica piano piano, tra una melodia e un assolo, e che ben presto diventa difficile staccarsi di dosso. Un po’ perché gradevolmente orecchiabile, un po’ perché molto ben suonato, un po’ perché assai diretto e sincero. La buona stampa che lo sta portando alla ribalta ha, per una volta, ragione di essere.

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