The Waterboys - Fisherman's Blues (1988)

And I am the Water Boy\The real game’s not over here. Nel 1973 Lou Reed pubblica Berlin, album seminale, oscuro, profondissimo e nella canzone The Kids compare il verso che ho appena scritto. Sarà lo spirito scozzese, così abituato alla poetica e selvaggia bellezza di quella terra, ma come per la vicenda dei Deacon Blue quel verso diviene una scheggia di passione che colpisce lo spirito di un giovane ragazzo di Edimburgo, che si appassiona alla musica. La capitale scozzese è tutt’altra città rispetto a Glasgow e ha dei particolari piuttosto noti a noi, dato che è attraversata da un fiume (anzi sorge all'insenatura (firth) creata dall'estuario del fiume Forth) e si sviluppa su sette colli (Arthur’s Seat, Calton Hill, Castle Rock, Corstorphine Hill, BVarids Hill, Blackford Hill, Craiglockhart Hill). Mike Scott è un poeta e cantante di Edimburgo, che per un po’ di tempo vive a Ayr, sulla costa occidentale della Scozia. Nel 1977 fonda una fanzine, una rivista autoprodotta dedicata ai propri idoli musicali, e il titolo, Jungleland, porta subito a pensare a Springsteen, Dylan, l’astro nascente in quegli anni Patti Smith. Istrionico, fonda un gruppo, gli Another Pretty Face e una etichetta discografica, la Chicken Jazz, che subito viene acquistata dalla Virgin di Richard Branson, che vedrà in questo ragazzo del potenziale altissimo, e non sbaglierà, dato che Scott sarà personaggio dai complessi risvolti e una delle figure più interessanti del panorama musicale degli anni ’80. Dopo varie esperienze, tra cui delle serate con Lenny Kane a New York, torna in Inghilterra e decide che chiamerà il suo gruppo The Waterboys proprio in omaggio alla canzone di Lou Reed.

Eppure musicalmente ci sono delle profonde differenze rispetto a quel disco mitico: Scott è affascinato da una certa idea di folk con contaminazioni rock, già fatta da gruppi leggendari come i Fairport Convention di Richard Thompson negli anni ' 60 e ’70. Il primo nucleo dei The Waterboys era composto dal sassofonista Anthony Thistlethwaite, Norman Rodger al basso, Karl Wallinger alle tastiere, Preston Heyman alla batteria oltre a Scott che suona la chitarra, il mandolino e altri strumenti. Con questa formazione si presentano ad una famosa Peel Session nel 1983 alla BBC, dove suonano il loro primo successo, A Girl Called Johnny, brano tributo a Patti Smith che entrerà a far parte nel luglio dello stesso anno di The Waterboys: già c’è la miscela interessantissima di musica in bilico tra folk e rock, equidistante da Van Morrison e dal rock epico post new wave. Più rock è A Pagan Place, del 1984, famoso per un brano, Church Not Made With Hands. Scott è ancora alle prese con una sua definizione di musica, anzi di una “big music”, che si leghi sia alla tradizione, ma che abbia un tocco personale unico e distintivo. Si ritira ai Park Gates Studio di Hastings, celebre luogo di una battaglia, ed inizia a pensare alla sua visione della musica, che parte sempre dal misticismo caledonico di Van Morrison ma stavolta vira con decisione verse le tinte fosche dei Velvet Underground, fino alla musica minimale (Scott dichiarerà di essersi ispirato a Steve Reich). This Is The Sea (1985) seppur con brani registrati in presa diretta, è un sottile gioco di strumenti e voci sovrapposte, in una rielaborazione in chiave celtica del wall of sound spectoresco, con l’aggiunta di testi profondissimi, che affascinarono un’intera generazione di musicisti. Il risultato è splendido. Ma Scott è tipo lunatico e quando sembra sul punto di spiccare definitivamente il volo, si prende una nuova lunga pausa dove, spostandosi a Dublino, inizia a rielaborare i suoi capisaldi. Si tuffa nella musica popolare e tradizionale di Scozia e Irlanda, e con l’aiuto di nuovi innesti, centrale quello di Steve Wickham al violino, nel 1988 pubblica il capolavoro atteso, uno dei dischi più belli degli anni 80.

Fisherman’s Blues è un album folk, ma che dalla tradizione si muove con estrema eleganza verso sonorità fresche, nuove, in un connubio che solo la genialità di Scott poteva costruire. L’apertura con la title track già da sola è euforia e classe, come la lunga e ipnotica We Will Not Be Lovers, tutta giocata su un riff di violini (canzone iconica). Le onde dell’oceano, le colline verdi, i muretti di pietra a delimitare i pascoli, i colori selvaggi e accesi sono sempre lì, tra una strepitosa cover di Sweet Thing di Van Morrison (da Astral Week) e addirittura il folk politico di This Land Is Your Land di Woody Guthrie. La musica da pub irlandese esplode nella stupenda And A Bag On The Ear (che è l’equivalente irlandese per un bacio sulla guancia italiano) che parla di un amore nato sui banchi di scuola. E come non adorare il sottile andare di When Will We Be Married. Se non si è ancora sazi di colline verdi smeraldo, atmosfere con l’odore tostato di birra stout, dell’affumicato di un single malt torbato e di semi di lino da sgranocchiare, c’è il colpo di grazia: un duetto tra Scott e Tomás Mac Eoin, uno dei più famosi cantanti di Sean-nós, che è un particolare stile di canto gaelico irlandese, che recitano e cantano William Butler Yeats nella indimenticabile The Stolen Child. Scott registrò così tanto materiale che solo nel 2006 ripubblicò l’album con la sua intera idea, che comprendeva ancora cover di Dylan, traditional e altre piccole meraviglie (tipo Let Me Feel Holy Again o l’altrettanto strepitosa You In The Sky). Scott, chiamato da attese spasmodiche, ritornò con lo stesso stile musicale nel 1990 con Room To Roam, che nei piani del cantante, risponde appieno all'attuale percorso musicale, che in onore al traditional The Raggle Taggle Gypsy Scott definisce raggle taggle music. Poi, inaspettatamente, virò verso un suono quasi hard rock (Dream Harder, nome omen, del 1993). E dopo una virata così inaspettata, ecco che, nella sua migliore tradizione personale, scioglie il gruppo e si prende l’ennesima e stavolta davvero lunghissima pausa, un decennio fino al 2000 quando ritorna a scrivere insieme ad altri musicisti nuovi capitoli di una saga nata 20 anni prima. Un geniale lunatico.

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