Laurie Anderson - Amelia (2024)

 di Gianfranco Marmoro

La carriera artistica di Laurie Anderson è da tempo divisa su due fronti differenti eppur paralleli: un primo più affine al lessico rock, inaugurato da "Big Science" e tenuto flebilmente in vita dall'album "Homeland"; un secondo fronte più sperimentale, visionario, multimediale, un ambito decisamente più congeniale alla complessa statura artistica della musicista americana.

Ho avuto il privilegio di intercettare l'artista su entrambi i fronti in due diversi eventi live. La prima volta nel 1990 durante il tour di "Strange Angels" (il suo album forse più "pop"), concerto reso unico dall'utilizzo della lingua italiana da parte di Laurie, scelta spiazzante di cui si è avvalsa in tutti i paesi toccati dalla tournée, concentrando l'attenzione anche sui contenuti lirici oltreché musicali.

Il secondo appuntamento live è legato allo spettacolo multimediale "Moby Dick", un sorprendente mix di visual art, musica, teatro e balletto, dove ancora una volta l'artista americana ha privilegiato il contenuto, una performance totalizzante con tanto di display per la traduzione dei testi in italiano, progetto che è stato poi racchiuso nel disco "Life On A String".

L'ultimo album di Laurie Anderson, "Amelia" è un progetto dal marcato linguaggio cinematografico/letterario/musicale, un disco che trova origine in una performance che Laurie Anderson aveva proposto una prima volta ben venticinque anni fa, imperniata sul racconto dell'ultimo viaggio di Amelia Earhart. Giunto dopo varie modifiche e ampliamenti alla forma attuale, l'album racconta la storia della prima donna che, nel 1937, tentò di circumnavigare la Terra con il suo aereo Lockheed Electra 10-E, opportunamente modificato, per poi scomparire nell'Oceano Pacifico dopo ben 22.000 miglia di volo, a poco più di seimila miglia dal traguardo, una storia che per Anderson è l'ennesima riflessione sull'umana condizione.

L'orchestra diretta da Dennis Russell Davies, il trio d'archi Filharmonie Brno, e la viola di Laurie Anderson garantiscono la giusta tensione drammatica, concedendo a sparuti inserti strumentali (Marc Ribot, Kenny Wollesen e Tony Scherr), a qualche field recording e alla collaborazione di Anohni, il necessario spazio e rilievo narrativo.

L'intuizione artistica vincente è la singolare sinergia tra la figura di Amelia Earhart e Laurie Anderson. Ambizione, determinazione, il desiderio di valicare i confini, la continua sfida alle regole sono caratteristiche comuni alle due donne, elementi che offrono ad "Amelia" più chiavi di lettura, per un'opera decisamente coraggiosa e non facile da assimilare con un fugace ascolto.

Laurie Anderson è un'artista che ha contribuito a elevare la musica allo stato dell’arte, integrando linguaggi diversi fino a renderli autonomi, peculiari, ma soprattutto nobilitanti, spesso non proprio graditi dai cultori più ortodossi del rock, ed è senz'altro una peculiarità che questo nuovo album amplia.

"Amelia" è composto da 22 segmenti, apparentemente omogenei, strutturati su arrangiamenti d'archi, drone-music, musica elettronica e analogica, e il costante rumore del motore di un aereo. Un album che merita un ascolto attento e la conoscenza dei testi per essere apprezzato fino in fondo.

Anche la corrispondenza narrativa tra musica e luoghi non è immediatamente percepibile, ma dopo più ascolti il legame tra territori e ambientazioni strumentali diventa più palese. Il suono più incisivo degli archi e il tono più robusto dei tamburi di "Waves Of Sand" richiama il deserto arabo, le armonie tremolanti di "San Juan" evocano l'intricata natura delle foreste pluviali, la sognante melodia di "India And On Down To Australia" sottolinea una delle fasi più suggestive del viaggio. La curiosa citazione di "Happy Birthday" degli Altered Images all'interno di "Road To Mandalay" e la caotica atmosfera di "Fly Into The Sun" confermano la cura quasi certosina dei particolari. Ciò consente all'album di essere apprezzato senza un eventuale supporto visivo.

Nella cospicua produzione di Laurie Anderson sono molti i dischi che mettono in primo piano la narrazione rispetto al contenuto musicale, ma in "Amelia" questo connubio funziona in maniera egregia.

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