Steely Dan - Gaucho (1980)

Devo ammettere che la fine di questo percorso sulle storie musicali alla ricerca del suono perfetto non poteva che fermarsi a questi due. Che in un decennio dove nella musica sono successe infinite cose, gli anni ’70, sono passati tranquilli e inscalfibili a diffondere qualcosa di completamente diverso. E per molti versi inclassificabile. Walter Becker e Donald Fagen sono probabilmente i musicisti più maniacali, quasi in senso patologico, che io conosca nella storia della musica pop occidentale. Siamo davvero ad una sorta di mania di perfezionismo che nasce in un momento preciso. Infatti i loro Steely Dan (dal nome di un dildo meccanico a vapore citato da William Burroughs ne Il Pasto Nudo) all’inizio erano un gruppo, formato dal duo (che sanno fare tutto, ma si dividono tra voci e chitarra) con Denny Dias insieme a Jim Holder alla batteria, Jeff Baxter alla seconda chitarra, e David Palmer. Il loro esordio è già fenomenale: Can’t Buy A Thrill (1972) vola subito nella Top 20 e frutta due canzone mito degli anni ’70 come Do It Again e Reeling The Wheel. Già è presente il mix, a tratti soprannaturale, di stili, un pop venato di jazz, rock, soul, fatto di sovrapposizioni di strumenti, intrecci vocali, perfezione esecutiva a cui sia accompagna una ironia sfacciata nei testi. Con Pretzel Logic, del 1974, un capolavoro, hanno addirittura una hit single, nella perfetta Rikki Don’t Lose That Number (omaggio a Horace Silver, grande jazzista), ma durante il tour che segue Fagen ha un attacco di panico sul palco e decide di non esibirsi più. La decisione successiva è di sciogliere il gruppo, di diventare un duo e per compensare il mancato contatto con il pubblico, quello di scrivere canzoni perfette. Una perfezione esecutiva, compositiva e di registrazione, diventando in questi tre rispettivi campi dei punti di riferimento assoluti. Decidono quindi di chiedere servizi ai più bravi e famosi sessionisti in tutto il mondo, di usare il meglio della tecnologia e di cercare la perfezione sonora. Già con Aja, del 1977, toccano vette assolute, ma i due attraversano un periodaccio. Quando iniziano a pensare al nuovo disco Becker viene investito sotto casa, nell’Upper East Side, e si frattura diverse ossa e passa settimane in ospedale, ma ha voglia di non perdere tempo, tanto che sviluppano le idee del disco e della sua evoluzione via telefono con Fagen (tuttavia non suona in molti brani dell'album). Tra l’altro, la sua fidanzata, Karen Roberta Stanley morirà per complicazioni dell’abuso di stupefacenti, appena finite le registrazioni del nuovo disco. La famiglia della ragazza, accusando Becker di esserne stato l’iniziatore, chiese un risarcimento da milioni di dollari, ma una sentenza di qualche anno più tardi scagionò il musicista. Tutto questo non impedì che per Gaucho, che esce nei negozi di dischi il 21 Novembre del 1980, abbiano fatto ruotare nei soli 7 brani 62 musicisti, tra i più famosi del mondo, tra batteristi, chitarristi, percussionisti, sassofonisti, coristi e ben 11 ingegneri del suono.

Basta dire che fecero provare per ore Bernard Purdie, leggenda vivente del jazz e inventore del Purdie Shuffle (terzine nel tempo tagliato) le sue parti nei brani. Tutti i batteristi, tra i più grandi di sempre (ricordo Steve Gadd, Jeff Porcaro dei Toto, Rick Marotta e altri ancora) passarono ore a provare il tocco che volevano quei due, che non contenti chiesero a Roger Nichols, uno dei più grandi ingegneri del suono americani, di creare una drum machine particolare che li aiutasse: con un investimento di 150 mila dollari (una follia per l’epoca) Nichols portò loro Wendel, che per quanto fosse il massimo di sofisticatezza del tempo, per difficoltà nella programmazione fu usata pochissimo. Ma c’è un particolare simpatico: quando l’album divenne disco di platino, un disco celebrativo fu regalato persino a Wendel in quanto “artefice” del successo. Chi altro poteva chiedere a Mark Knofler, in quei mesi il chitarrista più famoso del mondo per quel pezzo leggendario che fu Sultans Of Swing, di provare ore intere un assolo da 40 secondi per Time Out Of MInd? O chi poteva pensare di passare per 55 tentativi prima di centrare la voluta dissolvenza finale di Babylon Sisters?

Tutte le canzoni sono dei gioielli in un disco che racconta di hipster un po’ in là con gli anni in cerca di divertimento: Babylon Sisters ne è l’essenza, quasi a disegnare un sogno californiano che finisce a bere un kirschwasser from a shell; oppure la famosissima Hey Nineteen (che si dice fosse piaciuta tantissimo a John Belushi che ne voleva fare un soggetto per un film) dove un attempato conquistatore rimane basito che la sua nuova conquista diciannovenne non conosca Aretha Frankiln (Hey Nineteen/ That’s ‘Retha Franklin/ She don’t remember the Queen of Soul/ It’s hard times befallen/ The sole survivors/ She thinks I’m crazy/ But I’m just growing old), in una sorta di incomunicabilità generazionale (No, we got nothin’ common/ No, we can’t dance together/ No, we can’t talk at all) e che finisce in una probabile ritiro tra Cuervo Gold (una famosa marca di tequila), Fine Colombian (che non è cioccolato bianco) e Make tonight a wonderful thing tra il sibillino e una solitaria sconfitta sentimentale. Glamour Profession racconta la vita scintillante di uno spacciatore, raccontata con dovizia di particolari; Gaucho, altro classico, una storia d’amore gay mandata in frantumi da un gigolò che veste i panni bizzarri di un gaucho, un uomo in spangled leather poncho che riesce a distruggere la quiete domestica della coppia entrando dentro la loro preziosa dimora, la leggendaria custerdome (uno dei luoghi steelydaniani per eccellenza, che non ha una traduzione letterale soddisfacente) e fu scritta pensando a Long As You Know You're Living Yours di Keith Jarrett, dal suo disco del 1974, Belonging. Jarrett ottenne il riconoscimento come autore e il relativo pagamento di diritti d’autore (nelle moderne ristampe compare come autore del brano). Time Out Of Mind è probabilmente il racconto di un primo racconto con l’eroina, a inseguire “dragoni” fino a Lhasa. My Rival è la storia intrigante di un tradimento, ma visto attraverso gli occhi di un investigatore privato con l’apparecchio acustico (He’s got a scar across his face/ He wears a hearing aid) sulle tracce di qualcuno da smascherare (Sure, he’s a jolly roger/ Until he answers for his crimes/ Yes, I’ll match him whim for whim now). E l’ultima canzone è un altro colpo da KO: Third World Man è un'accusa niente affatto sottintesa al falso interesse per le questioni sociali dei paesi in via di sviluppo, che ha perfino un verso cantato in italiano da Fagen (è l’era del terzo mondo, scritto con Victor di Suvero, poeta italiano naturalizzato americano) e ha l’ultima pazzia: l’assolo, meraviglioso, di Larry Carlton fu ripescato dalle registrazione di The Royal Scam (del 1976) e ricostruito per quella canzone, tanto che Carlton nemmeno sapeva fosse presente nei crediti del disco. Sulla musica di questi brani, lascio a voi scoprire tutte le meraviglie sonore, di ricercatezza, gli effetti da sentire e risentire, ma molti se ne accorsero presto, perché vinse il Grammy Award del 1981 per la migliore registrazione non classica. Dopo tutto questo, gli Steely Dan si sciolgono. Fanno in tempo a scrivere, a nome solo di Fagen, quell’altro capolavoro che è The Nightfly (1982, con la copertina più bella di tutti i tempi – andatela a vedere) e a ritornare, dopo 21 anni, con Two Against Nature che, come potrebbe raccontare un testo delle loro canzoni perfette, li fa conoscere ad una nuova e giovane generazione, ammaliata da quel tocco incredibile che la leggendaria rivista jazz Downbeat una volta descrisse così: Non c’è nulla che suona così bene come un disco degli Steely Dan.

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