Pearl Jam - Dark Matter (2024)

 di Tiziano Toniutti

Un album diretto, scritto suonato e registrato a botta calda, ma che va riascoltato più volte per capire che cos'è il rock nel 2024. La "materia oscura", le paure del tempo che viviamo in cui "qualcuno paga per gli errori di altri" come canta Eddie Vedder nel brano che titola l’album, sono il carburante di un album che le accelera e le sbaraglia nella sua scia, fino a trasformarle in speranze.

Tra parecchi alti e pochi bassi questo è Dark Matter dei Pearl Jam. Ci sono pezzi che rimarranno, su tutti “Scared of fear", "Wreckage" e la splendida "Setting sun". C'è l'espressività di una band levigata e insieme scorticata da trent'anni di palco, ci sono inevitabili rimandi ai loro stessi di ieri ma altrettanto inevitabilmente, vivendo chi sono loro oggi: "Wreckage" sembra un incontro tra "Daughter" e "7 o'clock", "Won't tell" rimanda a "Infallible" e al mid tempo di "No way". La furia degli esordi riecheggia certo nelle chitarre e nella batteria, ma stavolta soprattutto nei testi. E si sente anche il ribollire del loro brodo primordiale: "Upper hand" ha qualcosina di “Yellow Ledbetter” e dello spleen di Binaural, "Waiting for Stevie" evoca direttamente i Soundgarden, poi ritrova i Pearl Jam dell'era Avocado, mescolando "Army reserve" addirittura con un po' di Bob Marley.

E per forza di cose il centro di gravità permanente dei Pearl Jam e dei sopravvissuti in generale - perché questo sono oggi, gli ultimi testimoni di una generazione musicale perduta - non si può che andare a cercarlo nella propria stessa esistenza. E così Eddie Vedder canta che "Ridevamo, cantavamo, ballavamo e credevamo", in qualcosa che forse però non è ancora perduto. E forse "saremo un nuovo sole quando arriva l'alba" e non solo un tramonto, è la speranza che non ha mai abbandonato i testi dei Pearl Jam anche quando il buio sembra avvolgere tutto. Le liriche più importanti dell'album sono anche quelle più immediate, che arrivano come un'onda ad alzare gli animi. Anche quando sono brevi: "Got to give" ha dieci mezze righe contate di testo nel booklet perché il concetto è semplice (poi la canzone è più lunga). Ma è un’applicazione pura della poetica Springsteeniana, con la realizzazione che una disillusione è sempre meno amara dell’illusione. E qui si ripete un po' il gioco di citazioni di Gigaton, dove ogni pezzo era un evidente omaggio al rock ma soprattutto alle sue divinità.

L'album si mantiene sempre in uno stato di tensione emotiva che è la cifra della band dal debutto di Ten nel 1991, e certo dopo trent'anni e passa c'è anche un pezzo che potrebbe rientrare nella categoria "daddy rock", "Something special", brano con un bel testo, divertito e leggero su un tema non semplice, e un’andatura swingata. Vedder canta per le figlie e forse avrebbe potuto anche essere una b-side, una “Dirty Frank” o un lost dog. Ma alla fine nel contesto della “cupezza” dell’album è un onesto momento di rilascio della tensione e di apertura al futuro, e questa onestà conta più del brano in sé. E infatti in Dark matter c'è molto più grunge che cringe, e c'è una band che torna a divertirsi, con Matt Cameron (batteria) e Mike McCready (chitarra) che si passano la palla come numeri uno, sono entrambi assolutamente in stato di grazia, suonano liberi e incendiari come due supernove attraverso la dark matter.

C'era qualche timore per il suono, l'album è prodotto dal giovane (fan) e bravo (molto) Andrew Watt, che ha fatto il miracolo con l'ultimo dei Rolling Stones e che qui rinvigorisce una combo di musicisti e autori che dal mainstream di oggi sono inevitabilmente distanti: in Running Vedder evoca Victriola, storico produttore di giradischi, quanto di più lontano da streaming, playlist e algoritmi. Ma proprio l’approccio fresco di Watt fa rinascere i Pearl Jam pienamente rock, potenti ma fuori dalla “loudness war” dei dischi ipercompressi. I Pearl Jam del 2024 non sono quelli degli anni 90, ma sono liberi di suonare come vogliono e per fortuna tormentati più che mai: il testo di "Scared of fear" è un manifesto di dolore transgenerazionale. Ma consapevoli che il volume alto e la lucidità della reazione a questi tempi di materia molto oscura, sono la sola risposta possibile.

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