Mingus Big Band - Live At Jazz Standard (2010)

Chi e cosa è stato Charles Mingus? Le domande non sono così tautologiche come possono apparire. Nella storia dei grandi del jazz, porta agli estremi la ribellione culturale, l’esigenza di una riabilitazione personale, i problemi psichiatrici, una vitalità che molto spesso superava ogni eccesso nel cibo, nel sesso, nell’esternazione delle emozioni. Ma sopra ogni cosa Mingus è stato un genio creativo con pochi pari. Il burbero, scontroso, violento passa in secondo piano rispetto al musicista. È quello che successe poco dopo la morte, avvenuta nel gennaio del 1979: molti dei musicisti che avevano collaborato con lui, si strinsero intorno alla figura di Sue Mingus, la sua quarta moglie, e iniziarono a pensare a come omaggiare la sua musica. Tra l’altro, nonostante la debilitante malattia che lo stava progressivamente fermando, Mingus continuò a comporre e dettare musica, tanto che alla sua morte lasciò in eredità almeno 200 idee musicali tra spartiti, linee melodiche, idee sparse qua e là. Nello stesso anno della morte, si forma il primo nucleo di questo percorso di ricordo con la Mingus Dynasty, formata dai sessionisti che collaborarono con lui nell’ultimo periodo. Iniziarono a suonare concerti in giro per gli Stati Uniti prima, e nel mondo poi, garantendo a Mingus una nuova fioritura di notorietà, persino più sincera e ragionata rispetto a quella legata al suo strabordante personaggio. Sue costituirà una Fondazione, che oltre a celebrare la musica di Mingus, diventerà attiva nella formazione musicale e culturale, garantendo borse di studio ai ragazzi emarginati, legando il tutto ad uno dei punti centrali della parabola artistica di Mingus: il rispetto interrazziale e l’importanza della conoscenza per le minoranze etniche. Mingus Dynasty prende il nome dal titolo di un album del 1959, Mingus Dynasty, che contiene due classici mingusiani, Song With Orange ma soprattutto Gunslinging Bird, che stavolta fu davvero dedicata al grande Parker, e come titolo provvisorio aveva If Charlie Parker Were a Gunslinger, There'd Be a Whole Lot of Dead Copycats. Nell’album del 1959 al trombone c’era Jimmy Knepper, all’epoca fido collaboratore di Mingus, che nonostante i due denti rotti che gli fece il Maestro e il conseguente processo, rimase sempre un suo grande amico. E Knepper fu il band leader di uno dei grandi live che la Dynasty ebbe presso il Teatro Boulogne-Billancourt di Parigi, l’8 Giugno 1988, racchiusi in due emozionanti cd (titolo Live at the Theatre Boulogne-Billancourt/Paris, Vol. 1 e 2). Ma personalmente credo che il ricordo più vero e sentito è stato quello che ha portato avanti l’evoluzione della Dynasty, la Mingus Big Band. Uno dei sogni di Mingus era di creare una Big Band sulla falsariga di quelle del suo mito Duke Ellington, e un po’ come successe allo stesso Ellington, a Glenn Miller o ai fratelli Tommy e Jimmy Dorsey, le cui musiche sono sopravvissute al loro creatori anche grazie alla continuazione delle big band, così è capitato pure indirettamente per Mingus. La Mingus Big band nasce nel 1991, formata da 14 elementi: il repertorio mingusiano viene riarrangiato, anche seguendo delle idee di Charles, in stile Big Band, che rimase il grande sogno inespresso in vita del grande contrabbassista. Il successo delle prime esibizioni è esaltante, e in pochi anni la Mingus Big band suona in tutti gli Stati Uniti d’America, e inizia anche acclamatissimi concerti in Europa, in Giappone, in Oceania. Nel 1997, viene ingaggiata per l’apertura di un nuovo locale, il Jazz Standard, situato nel quartiere Rose Hill di Manhattan, New York City. La band viene ingaggiata per due lunedì di seguito, ma il successo dei Mingus Mondays diviene così eccezionale che in pratica la band suona, quando non è in tour, tutti i lunedi fino a quando, causa Covid, il locale non chiude nel 2020. Ma la sera del 31 dicembre 2009, casualmente non un lunedì ma un giovedì, Sue Mingus decide di registrare l’esibizione della Big Band, e pochi mesi più tardi esce Live At Jazz Standard, nell’aprile del 2010. Quella sera fa parte della Big Band anche Randy Brecker alla tromba, che agli inizi degli anni ‘70 fu sessionista prediletto di Mingus. In scaletta, il meglio della produzione: Self-Portrait in Three Colors, Bird Calls, Open Letter To Duke, Cryin' Blues, la leggendaria Goodbye Porky Pie Hat, ma anche scelte minori come E's Flat Ah's Flat Too (aka "Hora Decubitus"), da Blues & Roots del 1959, New Now Know How e una finale Song With Orange da antologia. Band, pubblico, atmosfera sono così perfetti che il disco vince un Grammy Award come Best Large Jazz Ensemble Album nel 2011, e i Mingus Mondays sono ormai uno dei 5 eventi jazz migliori di tutta New York per i primi due decenni degli anni duemila. La Big Band continua a suonare in tutto il mondo, anche in Italia dove ha un folto seguito di appassionati, e quest’anno i Mingus Mondays sono tornati presso il Drom, un altro locale di New York, nell’East Village. Per celebrare il centenario della nascita di questo genio, pazzo e scalmanato, e davvero unico. Persino nella storia del jazz.

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