Charles Mingus - The Black Saint And The Sinner Lady (1963)

Jimmy Knepper è stato uno dei più grandi trombonisti del jazz. Dopo una straordinaria “gavetta” nei locali più famosi di tutti gli stati uniti negli anni ‘40, suonando nelle più prestigiose orchestre, a metà anni ‘50 ha l’incontro della sua vita, quello con Charles Mingus. Mingus lo scrittura per moltissimi lavori ma, come si è già detto nella storia precedente, Mingus aveva un rapporto quantomeno singolare con i suoi collaboratori: non rare erano le urla durante i concerti perchè non suonavano come voleva lui, le liti, le mani addosso. Ma con Knepper successe qualcosa di inaudito. Inizio anni ‘60, dopo il grande successo di Mingus Ah Um, il grande contrabbassista suona prima con il suo mito Duke Ellington in Money Jungles (1960, immenso capolavoro anche con la collaborazione di Max Roach) e poi inizia una proficua collaborazione con Eric Dolphy, con cui c’era anche una sorta di amicizia spirituale, non nuova nelle relazioni di Mingus ma sempre piuttosto movimentate: faranno insieme un leggendario tour europeo, poi si divisero perchè Dolphy rimarrà nel Vecchio Continente, dove morirà in circostanze mai del tutto chiarite nel 1964 a Berlino, ad appena 36 anni. Knepper lo segue ovunque, e sta preparando con lui i brani per un concerto presso la Town Hall di New York. Parlando del lavoro da fare, Mingus chiese a Knepper di suonare diversamente un assolo, ma al rifiuto di Jimmy, successe l’incredibile: si scaraventò sul trombonista, e con un pugno lo colpì sul viso, rompendogli un dente e rovinandogli l'imboccatura, che per un trombettista significava smettere di suonare come una volta (ci vorranno anni per il ritorno di Knepper al trombone, nonostante ciò dovette cambiare stile e perse per un certo periodo la totale estensione del suo strumento). Knepper non fece finta di niente e lo trascinò in tribunale. Lì successe una cosa che spiega benissimo il carattere del nostro Charles: nonostante il suo avvocato lo supplicasse di stare in silenzio, Mingus sbuffava ogni volta che il Giudice lo definiva musicista jazz, alche Mingus chiede al giudice: “Non mi chiami musicista jazz. Per me la parola jazz significa negro, discriminazione, cittadinanza di serie B e tutta la storia del dover stare in fondo all’autobus”. Fu condannato ad un anno con la condizionale. Ma il rapporto Knepper Mingus non finì certo qui). Eppure Mingus continua a sperimentare, ed è sempre un grandioso musicista: lo dimostrano dischi come Charles Mingus Presents Charles Mingus e Oh Yeah (scritti tra il 1960 e il 1961, appena prima della lite con Knepper). Ma qualcosa è rotto, e il famoso concerto per le cui prove picchiò Knepper alla Town Hall fu un fiasco colossale, fu persino fischiato. Mingus sente che è tempo di pensare a sé e fa una decisione straordinaria: sull’orlo di una sorta di crisi personale, di sua spontanea volontà si ricovera al Bellevue Hospital per farsi curare nel reparto psichiatrico. Lì conosce il dottor Edmund Pollock, che diviene il suo psicoterapeuta e che scriverà le note del libretto del disco di oggi, uno dei più grandi capolavori del jazz: The Black Saint and The Sinner Lady. Registrato in una sola, incredibile giornata di registrazioni, il 20 gennaio 1963 a New York con l’ausilio del grande produttore Bob Thiele, Mingus ha in mente un album, parole sue, di ethnic folk-dance music. Con una band di 11 elementi scrive un concerto pensato per un balletto, che piuttosto che alla grazia del corpo e dell’armonia musicale ha una propria e dirompente natura politica, per delineare le tappe della emancipazione afro-americana, diviso in 4 suite (che hanno un titolo ed un sottotitolo e la cui quarta parte ha 3 sotto sezioni), di 40 minuti, dove rielabora la musica pianistica, il blues, brani da dance hall sofisticate, addirittura la musica andalusa in un continuum sonoro senza soluzione di continuità trascinante e incredibilmente emozionante. Solo Dancer accende la miccia, tra una batteria che ispirerà persino la funk music anni ‘70, e un volo di sax leggendario; Duet Solo Dancers ha un interludio clamoroso di chitarra; Trio Dancers è un complesso, e magnifico, gioco tra orchestra e sax trombone, che davvero richiama il tanto odiato free jazz per la sua aerea composizione; Trio and Group Dancers è l’apoteosi, 18 magici, ipnotici e trascinanti minuti di pura potenza mingusiana, un vulcano in piena, nello stile incredibile e forsennato di un genio. Il Dottor Pollock scrive in copertina:”Mingus ha qualcosa da dire e usa qualsiasi cosa per far interpretare il suo messaggio (…) la sua musica è un appello all’amore, al rispetto, alla reciproca accettazione e comprensione, libertà e amicizia”. Costantemente tra i dischi più belli della storia del jazz, è una parentesi di genio in un periodo di profondissimo disagio: iniziò a litigare con chi lo chiamava Charlie, gli organizzatori, i proprietari dei Club (sfasciò un faro di illuminazione al Village Vanguard che divenne una sorta di reliquia per gli avventori)i critici e ovviamente il free jazz. Per un certo periodo decise di non suonare più, e si rintanò nel suo appartamento: finì per essere sfrattato e lui trasformò quel mesto trasloco in una semidelirante manifestazione affidata ad un cineasta che lo riprendeva (Thomas Reichman) e accompagnata da lettere indirizzate a papa Paolo VI, il Presidente Lyndon Johnson, Charles De Gaulle per accusare l’FBI di averlo sfrattato. La situazione peggiorò moltissimo quando scoprì di avere il morbo di Gerhing, che ben presto lo costrinse alla sedia a rotelle. Tra coloro che lo andarono a trovare, c’era pure un trombettista a cui una volta ruppe un dente. Lo aveva perdonato.

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