Jethro Tull, Guida per principianti

Chi l’ha detto che la musica rock deve essere suonata soltanto con chitarre, bassi, batterie e tastiere? Si può fare anche suonando il flauto. Questo apparentemente strano mix in realtà dice molto agli appassionati del genere. Chi conosce la musica degli anni sessanta e settanta appena sente flauto pensa a Ian Anderson e ai suoi Jethro Tull.

Con una tecnica impressionante e una sensibilità notevole, Ian ha reso la band unica nel panorama musicale di allora. E anche oggi è difficile trovare un paragone altrettanto eccellente. I Jethro Tull hanno suonato per più di 40 anni, pubblicando la bellezza di 54 album, tra originali, live, opere e raccolte, con più di 3mila concerti hanno venduto più di 60 milioni di dischi.

Per ricostruire la loro storia, come capita ai mostri sacri della musica, come i Beatles e i Rolling Stones, servirebbe un libro; in un articolo, nelle poche righe a disposizione, si può solo accennare il grande talento musicale di questo gruppo, riascoltando i brani più belli, presi per lo più dai lavori del primo ventennio della loro carriera.

I Jethro Tull prendono il nome, scegliendolo completamente a caso, da un pioniere della moderna agricoltura, inventore della prima seminatrice meccanica. Il loro esordio è del 1968 con l’album This Was. Qui è già presente il loro marchio di fabbrica: i virtuosismi del flauto di Ian.

È ancora presto per l’esplosione del prog (corrente musicale dalla quale i Jethro Tull prenderanno sempre le distanze, almeno formalmente), in questo album le sonorità sono più folk-rock alternando momenti dolci a più “pesanti”.



Il secondo album Stand Up è il primo capolavoro della band. La sua forza sta soprattutto nell’armonia e nella melodia di Ian. Arrangiamenti complessi e molto audaci, prima fra tutte la bellissima versione in salsa jazz della Bourée di Bach.



Aqualung del 1971 è sicuramente il loro disco più famoso e osannato. Oggi è una pietra miliare e si trova stabilmente nelle classifiche delle opere più importanti della musica rock. È un disco ricco di sfumature che va ascoltato più e più volte per apprezzarle tutte. A renderlo indimenticabile ci pensa anche la copertina, con l’immagine di un barbone, dalle fattezze di Ian, a dir poco inquietante.



Il successo di questo album permette alla band di uscire, senza possibilità di tornare indietro, dai confini nazionali. È un successo mondiale. Per farsi conoscere al nuovo e più vasto pubblico, nel 1971 la band pubblica un doppio album composto dai pezzi più famosi e da inediti: Living in the Past.



Thick as a Brick, l’album dell’anno dopo, è caratterizzato dall’essere un’unica traccia di oltre 40 minuti (divisa in due parti senza una reale soluzione di continuità per il vinile) in cui i Jethro Tull abbracciano pienamente il genere progressive. È un album straordinario, come Aqualung, ma più difficile nell’ascolto. Anche se in molte parti è un’opera orecchiabile, un equilibrio perfetto tra movimenti calmi e forti, parti acustiche ed elettriche.



I Jethro Tull ripetono l’esperimento l’anno dopo con A Passion Play, ma il lungo brano è meno orecchiabile del precedente lavoro, più complesso e cupo: di difficile ascolto. La critica si divide, c’è chi lo definisce un capolavoro, chi noioso. Le melodie e gli arrangiamenti di Ian sono oggettivamente incredibili, mai banali o fini a se stesse. È il disco più complesso della band, segna un momento di passaggio.



I Jethro Tull dopo questo lavoro sembrano essere sfiniti. Cambiano influenze provando la strada più facile e proponendo pezzi buoni che hanno un inaspettato successo commerciale ma che non dicono niente di più sui loro lavori precedenti. Escono Too Old to Rock and Roll, Too Young To Die e Song From The Wood, due album che segneranno il cambio di passo, alla fine degli anni Settanta, della band.



La carriera dei Jethro Tull pur continuando fino agli anni 2000, non ha più detto niente di nuovo rispetto ai passati grandi successi. Ma quelle canzoni, quegli album, quegli esperimenti sono ancora molto lontani dall’invecchiare. Molto meglio allora riascoltare ancora una volta, e una volta di più, quel periodo d’oro.

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