La Ratte - Astray (2023)

 di Pie Cantoni 

La Ratte è una band che potrebbe essere semplicisticamente definita come i Black Keys olandesi, tre ragazzi che prendono spunto dal punk, dal blues e dal pop, per formare una miscela di blues gigioneggiante e più cattivo. E’ tutto qui? Sì e no. Il trio, nato come duo, Harm van Essen (voce e chitarra) e Jochem Jorrisen (batteria), dopo qualche prova che ha destato l’interesse della critica, si trova a registrare nuovo materiale ma si accorge ben presto di aver bisogno di un bassista e quindi (dal 2021) il tedesco Nikolas Karolewicz si unisce alla formazione.

Lo stile dei La Ratte ruota attorno al suono grezzo della chitarra di Harm e della batteria di Jochem, dando vita a una combinazione di blues moderno e più orecchiabile. Il loro nuovo album, Astray, registrato ai Studio De Krakeling (ex ospedale psichiatrico..), è stato composto in soli sette giorni e contiene undici tracce in tutto, che prendono spunto da vari generi della musica americana, dal Texas Blues al Mississippi Hill Country, dallo swamp blues a melodie più pop. Il brano di apertura è Gotta See About a Girl, rock blues à la Beck (Hansen, non Jeff) dei tempi di Odelay. Basata sul classicissimo e ormai sfruttatissimo "junge rhythm" di Bo Diddley, Love passa senza lasciare traccia perché tale impronta indelebile è stata sì tracciata, ma circa sessant’anni fa. Si entra in territorio Auerbach/Carney con Trouble, rock un po’ paraculo (non per forza in termini negativi), con cori e falsetti molto “catchy”. Stesso discorso, senza connotazione negativa, per Walking Target, che gira bene anche con un bel cambio di tempo fra ritornello e assolo, che movimenta il pezzo. Mash up di Jerry Lee Lewis / Chuck Berry, Ain’t My Business ha una chiara collocazione stilistica. Così come Loneliness e Garden Facin’ West si rifanno al cosiddetto County Hill blues, in maniera comunque convincente. Il valzer di Whiskey, sul genere outlaw country, e 3 a.m. Again chiudono la tracklist.

Alla fine La Ratte (che Google Translate ci italianizza in “Il Ratto” ma ci crediamo poco…) ci regalano un album all’insegna del blues moderno, con un occhio però sempre rivolto verso i grandi del passato. Qualche dubbio però ci viene quando questa formula, lanciata dai White Stripes, rafforzata dai Black Keys, e ripetuta ovunque come se non ci fosse fine, comincia a diventare anch’essa vecchia di trent’anni e un po’ noiosa e ripetitiva. Come l’ennesimo blues suonato al ritmo di un boogie di John Lee Hooker, o un brano rock basato sul ritmo jungle di Bo Diddley, appunto. Certo è che rompere le barriere non è semplice, ma è il concetto cardine su cui si basavano prorpio il rock e il blues che ancora ascoltiamo.

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