Robert Plant & Alison Krauss - Raise The Roof (2021)

di Francesco Brusco

Non è così consueto trovare rockstar capaci di affrontare la seconda parte di carriera con dignità e ponderatezza. Se ne vedono tante, di rincorse frenetiche a nuovi consensi di massa e di altrettanto furenti retromarce per recuperare quelli perduti. Il signor Robert Anthony Plant da West Bromwich è tra le note eccezioni. Lo conferma la collaborazione con Alison Krauss, first lady del bluegrass contemporaneo e ostinata collezionista di Grammy. Si erano incontrati per la prima volta nel 2004, per ritrovarsi solo tre anni dopo al Sound Emporium di Nashville. Ne venne fuori l’album dell’anno. Chiunque avrebbe scommesso su una corsa al sequel dopo l’exploit di Raising Sands, ma tra i due ebbe inizio una nuova corrispondenza di idee destinata a durare una dozzina d’anni. Quando si dice «teniamoci in contatto».

ANCORA a Nashville, fine 2019; ad accoglierli in studio T-Bone Burnett, già produttore del primo album, Jay Bellerose alla batteria, Dennis Couch al basso, e una ricca rosa di chitarristi: Marc Ribot, Bill Frisell, David Hidalgo, Buddy Miller. Un paio di mesi di lavoro, due anni di decantazione. Raise The Roof, la cui uscita coincide felicemente con l’annuncio della presenza di Robert e Alison al prossimo Lucca Summer Festival, è «un po’ più fumoso e un po’ più brillante di Rasing Sands» (commento ossimorico dello stesso Plant). Come il predecessore, un progetto non di scrittura ma di attenta reinterpretazione: una ricerca d’archivio di impronta curatoriale tra pagine sparse di folk, country, blues, gospel e soul.
Dai Calexico, la cui Quattro (2003) apre la tracklist, si va a ritroso fino agli anni Trenta di Elvie Thomas e Geeshie Wiley (Last Kind Words Blues), incontrando gli Everly Brothers già riletti nell’album del 2007: The Price Of Love viene spogliata da ogni orpello, introdotta da una lunga ouverture strumentale, dimezzata in velocità. Diverso trattamento ma stesso spirito per Trouble With My Lover di Allen Toussaint, resa celebre da Betty Harris, qui trasposta in tonalità minore.Del blues emergono le architetture, gli andamenti, le tensioni.

L’ATTITUDINE armonica è prevalentemente modale, con largo uso di bordoni che avvicinano la matrice afroamericana a quella anglo-irlandese: tra le versioni meglio riuscite, It Don’t Bother Me di Bert Jansch e Go Your Way di Anne Briggs, «crazy diamond» del folk revival entrata nell’Olimpo zeppeliniano proprio grazie all’intermediazione di Jansch.Il timbro ancora inconfondibile di Plant si integra alla perfezione con quello della Krauss, generando una sorta di terza voce fantasma nelle armonie più strette. Pur apparentemente lontano dalle rispettive latitudini, il punto in cui si incontrano è un ritrovo sicuro. In fondo, è da lì che entrambi erano partiti.

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