Susanne Sundfør – Music For People In Trouble (2017)

di Fabio Rigamonti

La cantautrice norvegese Susanne Sundfør ci ha da sempre abituati a repentini cambi di rotta tra un disco e l’altro. Ciononostante, non riusciamo a celare una certa sorpresa dietro la brusca virata che rappresenta questo “Music For People In Trouble”, sesto parto discografico in studio.
Non possiamo tacere, difatti, l’entusiasmo derivato dall’ascolto di una Sundfør che, memore della produzione dell’esordio del duo elettronico pop Bow To Each Other, elabora quelle “Ten Love Songs” accessibili eppure tremendamente dense dal punto di vista artistico.
Tuttavia, a seguito del successo (perlomeno in patria) dello scorso inciso, sono seguiti depressione, alcolismo, e una necessità di affrontare un viaggio intorno al mondo con tanto di ritiro spirituale sui Pirenei per depurarsi da tutte le scorie di una vita in bilico.
Testimonianza di questo ultimo biennio di rigenerazione e ricerca sono non solo le fotografie che accompagnano il booklet dell’opera, ma anche una musica terapeutica, una “Music For People In Trouble” appunto, che non poteva che essere una riscoperta delle radici folk e country della cantautrice, tuttavia condite da un misticismo cosmico derivata dall’imponenza dell’ambient.

E’ tutto chiaro sin dall’inno all’autocommiserazione rappresentato da “Mantra”, che parte con piano e voce salvo poi essere sostenuto da una solitaria chitarra elettrica chiaramente impostata sulla grande e tradizionale canzone Americana, e prosegue lungo tutta la durata di un disco che è praticamente privo di sezione ritmica.
E’ sicuramente inciso che richiede un grande sforzo all’ascoltatore questo, che verrà però ripagato dall’opera più coerente mai partorita dalla Sundfør, e questo nonostante la presenza di una “Good Luck Bad Luck” che parte come una sad pop song, si trasforma in fado, salvo finire in bossa nova, oppure di una ballata Led Zeppelin che ama concludersi nella siderale cosmicità di Jean Michelle Jarre (“The Sound Of War”). Ma quei salti schizoidi che facevano storcere il naso su tutti i parti precedenti qui risultano assenti, e il disco ne guadagna in omogeneità di espressione ed intenti.
Semmai, se proprio volessimo indicare un difetto, il problema principale di “Music For People In Trouble” è che si lascia compiacere in un paio di punti di troppo da pretese eccessivamente arty (le spoken words con tanto di effetti da mostra d’arte contemporanea della title track, l’elettronica di “The Golden Age”), lasciando da parte un cuore che si sente pulsare per davvero nei singoli proposti quest’estate, ovvero quella “Undercover” che sanguina frustrazione da ogni nota e la chiusa di “Mountaineers”, riflessione sull’ambiente dove alla litania di John Grant reiterata con ieratica perfezione alla Brendan Perry giunge in cambio il liberatorio canto e controcanto totalmente melodico della Sundfør, in un crescendo vocale ed elettronico di matrice nordica assolutamente perfetto.

Vi sia chiaro questo: “Music For People In Trouble” non è un’opera che potrete ascoltare in auto o in cuffia/auricolari mentre siete impegnati a fare altro. Richiede esattamente ciò per cui la sua autrice l’ha concepito, ovvero un sentire il disco più che ascoltarlo, in una camera buia e in un momento in cui avete necessità di trovare il vostro io più profondo alla ricerca di risposte importanti. Sappiate che per questo intento, questo disco saprà essere un compagno fedele per tutto il resto della vostra vita.
Fermo restando che siamo comunque di fronte all’inciso meno adatto in assoluto per entrare in contatto con il sempre affascinante mondo sonoro di una cantautrice eterogenea, eclettica e, last but not least, assolutamente rilevante in questo nostro presente.

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