Hank Williams - 40 Greatest Hits (1978)

Nonostante la pletora di antologie e cofanetti che si sono succeduti nel tempo, causa oggi anche una più facile libertà d'azione in tema di diritti d'autore, il sintetico 40 Greatest Hits, nella sua improponibile copertina giallo canarino con al centro una foto sbiadita in bianco e nero resta ancora la summa più travolgente dell'arte drammatica di Hank Williams. Quaranta tappe di un brevissimo (cinque anni scarsi dal maggio '47 al capodanno del '53) eppure interminabile calvario umano tradotto in musica, per una delle icone assolute della musica popolare americana. Come Johnny Cash, Woody Guthrie e pochi altri Williams è stato dentro il genere e fuori dai generi, caposaldo di una verità country spiattellata con cruda fermezza e al tempo stesso autore che ha trasceso la nicchia dell'odiata Nashville (quella che lo cacciò con infamia) per arrivare a tutti i cuori infranti della nazione. La sua musica, i suoi versi, schietti, tragici contengono una realtà che raramente capita di incontrare: sono spesso la cronaca di un'autodistruzione, ma anche la fotografia di un uomo del Sud spiritato, innamorato, oltre i limiti, capace di rendere irrimediabilmente sue e soltanto sue (pochi se lo possono permettere) Lovesick Blues e Lost Highway, così come di inchiodarti al muro nel volgere di I'm So Lonesome I Could Cry o nel destino scritto di I'll Never Get Out of This World Alive. Sul dato strettamente musicale c'è poco altro da aggiungere: 40 Greatest Hits è il testo sacro del country fuorilegge, la bibbia di una musica che ha raccontato l'eslusione e i dolori della working class bianca americana. (Mia valutazione: Buono)
(Fabio Cerbone)

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