Bruce Springsteen - Born To Run (1975)

Il cronista che ha scritto: «Ho visto il futuro del rock'n'roll, e si chiama Bruce Springsteen», è salito a bordo e tiene addirittura i comandi, anche se in teoria chi guida è Bruce Frederick Springsteen, 25 anni con qualche origine italiana, dal New Jersey delle città balneari in disarmo. Alla Columbia l'ha portato John Hammond, il tipo che dieci anni prima aveva firmato il contratto di Bob Dylan. Ma Springsteen non mantiene le promesse: i primi due album che fa uscire con la gloriosa etichetta sono pieni di personaggi e storie, pieni di suoni, evidentemente troppo pieni di tutto. La sua idea è «cantare come Roy Orbison canzoni come quelle di Bob Dylan, prodotte come se in studio ci fosse Phil Spector». Al suo nuovo produttore Jon Landau, il cronista che in lui aveva visto il futuro del rock'n'roll, si presenta con i soliti pezzi interminabili, pieni di musica, un po' meno pieni di personaggi (ora è quasi sempre uno, al massimo sono due alla volta), comunque difficili da tenere a bada. Per un po' si pensa di registrarle dal vivo: non dicono tutti che Bruce dal vivo è il migliore in assoluto, e che live dà il meglio di sé? Nell'agosto 1975, a pochi giorni dall'uscita dell'album, Bruce e la band, che nel frattempo ha trovato la formazione considerata poi definitiva, con un nuovo batterista e un nuovo pianista, suonano per dieci serate al Bottom Line di New York. La casa discografica invita centinaia di musicisti, giornalisti, critici, e la serie di concerti contribuisce ad alzare la posta, già altissima, che Springsteen si gioca con Born To Rum La scommessa, per quanto azzardata, si dimostra vincente. La pompa un po' barocca (questa sí, alla Phil Spector) nelle otto nuove canzoni si trasforma abbastanza magicamente in epica stradaiola e suburbana, in cui il riscatto viene affidato alle macchine che corrono (fuggono, secondo un doppio senso che non vine colto dalla lingua italiana) e alle autostrade che portano lontano dalla giungla urbana. Con tutte le sue ambiguità, il suo immaginario trito, le sue epiche esagerazioni, Born To Run è capace di esaltare e coinvolgere come pochi album di rock'n'roll. Come poco altro, in generale. C'è verità, dentro quelle storie on the road da film di serie B, c'è la solitudine delle periferie e il desiderio di sconfiggerla. E la band di Springsteen suona come Phil Spector avrebbe solo potuto sognare. (Mia valutazione: Ottimo)

di P. M. Scaglione - Rock! (Einaudi)

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