Los Lobos - Gates Of Gold (2015)

di Massimo Orsi

Questo disco arriva dopo che le ultime prove discografiche in studio erano diventate un poco appannate, avevano perso smalto (“The Town and The City” una spanna sopra l’ ultimo “Tin Can Trust” di cinque anni orsono, tuttavia entrambe sono prove meno convincenti di un glorioso passato). Però David Hidalgo e Louie Pérez sono tornati in gran forma e c’è una grande varietà nei suoni, con brani che si presentano in una veste squisitamente latina, oppure troviamo blues urbani, sonorità black, poi ci sono riferimenti ai Grateful Dead ed al loro capolavoro Kiko e riscontriamo la presenza di alcune grandi canzoni come ad esempio “Magdalena” e “When We Were Free”. Azzarderei col dire che è il disco più convincente dai tempi di “Good Morning Aztlán” (2002) e qualitativamente siamo ai livelli di Kiko.

Il primo brano, “Made To Break Your Heart” richiama sonorità dei Dead che il gruppo rivede in maniera vincente e del tutto personale, poi tocca a “When We Were Free”, un bel brano dal train sonoro black che ricorda lo stile del grande Marvin Gaye.
“Mis-Trater Boogie Blues” è un tosto boogie blues alla J.L. Hooker, cantato da Cesar Rosas, che è lo spirito tradizionalista ed insieme rock’n’roll del gruppo (ascoltatevi il suo bellissimo e, per ora, unico disco solista “Soul Disguise” del 1999) mentre Hidalgo e Perez sono quelli che amano sperimentare (già in passato hanno dato parecchi segnali insieme con i “Latin Playboys”, oppure Hidalgo con il gruppo “Houndog”).
“There I Go” è ancora grande musica, funky/soul alla Sly & The Family Stone.

“Too Small Heart” è un hard blues dal ritmo frenetico che richiama, neppure velatamente, Jimi Hendrix ed il gruppo ci da dentro alla grande.
Il brano “Gates of Gold” inizia con un mandolino strimpellato decisamente roots, ma via via il sound si riempie di suoni ricercati ed originali che sono ormai il loro marchio di fabbrica ed un testo che parla del percorso di un immigrato che guarda verso la nuova terra promessa che si staglia all’orizzonte.

Altro grande brano è “Song Of The Sun” un sound folk riveduto e corretto come solo loro riescono a fare: inizio con chitarra acustica ad accompagnare la voce di Hidalgo, poi entra in gioco la band con un sound up tempo che riempie la canzone.
“I Believed You So” un bel brano di blues graffiante (mescolando sapientemente Chicago Blues e Juke joint Blues), cantato dalla voce grintosa di Cesar Rosas.
E poi non mancano neppure in questo album brani dal sapore latino (a quando il seguito del grande disco “La pistola y el Corazon”?),ovviamente cantati in spagnolo: “Poquito para aqui” ancora con Cesar Rosas alla voce, ci offre una cumbia con un ritmo molto gradevole e “La Tumba Sera El Final” che ripropone l’anima vera dei Los Lobos, quella dalle sonorità mexican più popolari.

Un’opera molto varia e sfaccettata, come una saga americana che affonda le radici nella letteratura americana, le canzoni fotografano momenti di vita quotidiana popolare e raccontano storie di immigrazione con toni romantici, spaziando da atmosfere soul alternate a classic rock e ritmi blues, a produzioni più sofisticate con un leggero tocco sperimentale senza tralasciare la tradizione messicana, opportunamente rivisitata dalla band di East LA.

Un disco che riesce ad attrarre l’ ascoltatore da subito, facendoci ritrovare il gruppo che non abbiamo mai smesso di seguire ed amare.
Sicuramente uno dei dischi migliori dell’ anno. (Mia Valutazione: Distinto)

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