Torres - Sprinter (2015)

di Simone Zagari

Mackenzie Scott, Torres per gli amici, ha 24 anni, ma sulle spalle già un sontuosissimo debut (l’eponimo Torres) con cui ha contemporaneamente sfiorato il cuore e preso a pugni lo stomaco di molti, me compreso. Una chitarra, la leggenda vuole comprata dai genitori dopo molti sacrifici, e tante cose da dire con una voce tutt’altro che anonima. A distanza di due anni Torres si tinge i capelli di biondo ma la ricetta non cambia, e anzi si conferma pienamente in questo Sprinter grazie anche al contributo di personaggi quali Rob Ellis alla produzione e una band di supporto formata da Ian Oliver (già con PJ Harvey) e Adrian Utley (Portishead).

Si parte con Strange Hellos, un inizio che potrebbe richiamare tranquillamente i lavori pregressi, ma che subito svolta in territori più grezzi e schietti: le chitarre sature creano climax, la voce emerge, la batteria si fa metronomo di stop and go che mozzano il fiato; fiato che alla Scott non manca date le grida strazianti in chiusura del pezzo. New Skin e A Proper Polish Welcome sono lì a farci capire che il passato più dolce non è assolutamente ripudiato, anzi. Tranquillità rock con un vecchio sentore country (che comunque in New Skin devia verso il noise sul finale) ma con una nuova produzione e una maturità conquistata sulle spalle; e il risultato non può che essere delizioso. Son, You Are No Island è il primo segnale di sperimentazione. Droni oscuri, voce aliena (con tanto di controcanti e gorgheggi in sottofondo), e a fare da collante un arpeggio di chitarra. È tutto un crescere che sfocia in un climax subito troncato, in pochissimi secondi. In Cowboy Guilt le intenzioni diventano invece palesi, in una traccia che deve molto, moltissimo, a St. Vincent: batteria elettronica, voci che paiono pitchate, e quel riff di chitarra. Anche qui un centro pieno.
La titletrack e The Harshest Light iniziano e procedono per un po’ come classiche canzoni rock, ma si arricchiscono di una produzione intelligentissima che agisce quanto basta sulle chitarre, su rumori pannati a destra e a sinistra, su break vocali che donano dinamismo al tutto. E se la prima si chiude in un sussurro, la seconda culmina in un coro che spiana la strada per la chiusura, The Exchanger. Se la precedente “traccia lunga”, Ferris Wheel, è senza giri di parole una lagna evitabile, i quasi otto minuti di The Exchange toccano nel profondo facendo perno sulla semplicità, proprio come ha recentemente fatto Angel Olsen: chitarra acustica, voce soave e di poco riverberata, dita che frusciano sulle corde, rumori ambientali. Non serve altro per farci capire chi è Torres, oggi.

Amore e odio, lacrime e rabbia, depressione e rivalsa. Se l’eponimo disco era il diario di una Torres adolescente, Sprinter è l’analisi matura (testuale e musicale) della sua vita sul lettino di uno psicanalista, ma nell’esatto momento in cui l’ancora giovane Mackenzie si rende conto di avere il coraggio e la forza interiore per poter andare là fuori a prendersi le proprie rivincite. E noi non possiamo che gioire per la sua meritata vittoria, nella vita e in musica, aspettando la successiva. (Mia valutazione: Distinto)

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