Buffy Sainte-Marie - Power In The Blood (2015)

di Mauro Eufrosini

Il modo più semplice per provare a raccontare di questo Power In The Blood è far finta di credere che Buffy Sainte Marie sia, soltanto, una autrice e cantante. Di dimenticarci delle sue esperienze di artista multimediale e del suo impegno di pacifista e cooperatrice, a difesa e sostegno dei nativi americani, popolo al quale lei stessa appartiene. Ma anche così, pur essendo questo il modo più semplice, ridurre Power In The Blood alla sua sola dimensione fisica di album, non rende tuttavia semplice raccontarlo.

Perché la multidimensionalità, artistica e strumentale, attraverso la quale Buffy Sainte Marie ha giocato l’intera sua esperienza di donna e artista Cree è, ancora una volta, la chiave, la sola possibile, per provare a decodificarlo.

Power In The Blood sin dalla semplice scansione della scaletta dei 12 brani che lo compongono, si presenta paradigmatico dell’intero suo percorso di cantante e autrice. Non è certo per caso, infatti, che l’apertura sia affidata a It’s My Way, canzone che dava il titolo, 51 anni fa, al suo album di debutto. Riarrangiata e attualizzata, ciò che allora suonava come l’ambiziosa presa di posizione di una voce anomala nel pur non allineato panorama della canzone folk di protesta, oggi è l’altrettanto forte affermazione di una coscienza libera e determinata, che oltre mezzo secolo di impegno artistico e civile hanno solo rafforzato.

A 75 anni, l’autrice ed interprete di brani capaci di segnare epoche diverse e contraddittorie, come l’inno pacifista Universal Soldier, o il disperato racconto della dipendenza di Cod’ine, o Up Where We Belong (sì, proprio il tema di Ufficiale e Gentiluomo, portato in banca da Joe Cocker e Jennifer Warnes), continua a cantare con forza e verità di ciò che, da sempre, è al centro del suo impegno, artistico e politico. La libertà delle coscienze.

Con straordinario senso della contemporaneità, la sua strada passa oggi per i linguaggi della techno e dell’elettronica, del rock anche muscolare e del pop anche dance, del country, incrociati con la musica ancestrale della sua gente. Un powwow futurista e multimediale, un potente strumento di comunicazione globale per contenuti e valori comuni a tutte le genti.

Anche nel prendere a prestito canzoni altrui, ma riappropriandosene riscrivendone le parole e sovrapponendovi le voci del suo popolo, come nel caso della title track, brano techno degli Alabama 3, e di Sing Our Own Song degli UB40. O rivisitando, accanto all’apertura, un paio di altre canzoni del suo passato meno frequentato, Not The Lovin’ Kind e Generation, mantenendone tuttavia intatta la visionarietà di quegli anni Settanta cui entrambe appartengono.

Che siano candidi autoritratti bucolici scanditi in country rock (Farm In The Middle Of Nowhere) o tenere love songs quasi acustiche (Ke Sakihitin Awasis), lucide denunce dello sfruttamento della terra e dei diritti dei nativi che le abitano (Uranium War) o inni pop al primato della natura sull’uomo (Carry It On), non c’è frattura tra il passato e il futuro di Buffy Sainte Marie.

“Ciò che mi colpiva della folk music erano le canzoni che duravano per generazioni, ma non ho mai cercato di essere una autrice folk. Ho voluto dare alle persone qualcosa di originale”. (Mia valutazione: Buono)

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