Lower Dens - Escape From Evil (2015)

di Riccardo Zagaglia

Hanno giocato bene le loro carte, i Lower Dens di Jana Hunter, alimentando mese dopo mese le attese per quello che è a tutti gli effetti il terzo album in studio, Escape From Evil. Accantonata l’ormai decennale esperienza solista/freak-folk iniziata a metà anni Zero, con l’appoggio di un Devendra Banhart all’epoca all’apice della popolarità, la Hunter è riuscita a reinventarsi icona – a suo modo – cool attraverso le trame di un dream pop chitarristico che ha trovato sfogo prima in Twin-Hand Movement e poi, in una veste ancora più appetibile, nel Nootropics del 2012.
Un timbro particolare, spesso accostato a quello di Victoria Legrand dei Beach House (ma dalle venature ancora più androgine), sorretto dalle metriche mai banali dei compagni di viaggio Geoff Graham (basso) e Nate Nelson (batteria). I Lower Dens sono storicamente una band di difficile definizione, priva di quegli spessi tratti caratteristici che rendono un suono facilmente identificabile.
In questo senso, il singolo (per chi vi scrive, uno dei migliori dell’anno, per il momento) To Die in L.A. ci aveva forse illuso che gli americani avessero – finalmente? – dirottato gli sforzi verso una scrittura più compatta. La componente pop, invece, entra sì a gamba tesa sulle pulsioni eccentriche della band, ma oltre a regalare tanti momenti spettacolari, fornisce anche passaggi più incolori. Se la traccia appena citata è un tripudio/tributo eighties con tanto di videoclip lynchiano ben assestato su coordinate b-movie/DIY (la protagonista è quell’Actually Huizenga che recensimmo qualche tempo fa), le restanti otto tracce, per essere assimilate, hanno bisogno di più calma e in alcune occasioni non basta neanche quella.
Anche dopo ripetuti ascolti, però, quella “magia d’insieme” rintracciata in Nootropics sembra nuovamente sfaldarsi in favore dei singoli episodi. In particolare, hanno la meglio i capitoli più ritmati, scanditi dalla battuta secca del preciso drumming (Your Heart Still Beating e le sue tastiere ) che talvolta sfocia, come nel disco precedente, in ritmiche motorik (l’ossessiva Company). Convince anche Non Grata, già edita un paio di anni fa in una versione più minimale e musicalmente più cupa; più fedele agli stilemi indie-pop 80s, invece, Société Anonymus, con la sua chitarra jingle-jangle a dirigere.
Altrove sembra però venire meno l’ispirazione melodica. Sucker’s Shangri-La, ad esempio, è un lento ondeggiare tra tappeti synth e chitarre, ma la Hunter (che tra le altre cose assiste Chris Coady in sede di produzione) non dà mai l’impressione di agguantare con decisione la giusta armonia. I Am the Earth è soggetta allo stesso problema, ma almeno è palpabile una certa catarsi emotiva sprigionata sia dalle corde vocali di Jana Hunter, sia da un synth che si fa più corposo nei momenti giusti.
Escape From Evil finisce così per posizionarsi su una linea traballante, quella di un disco tanto consigliato quanto incapace di mostrare interamente quel potenziale che i Lower Dens a volte sembrano purtroppo trattenere. O forse, semplicemente, non riescono a modellarlo come potrebbero. (Mia valutazione: Buono)

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