Pierangelo Bertoli

«Canterò le mie canzoni per la strada / ed affronterò la vita a muso duro un guerriero senza patria e senza spada / con un piede nel passato e lo sguardo dritto e aperto nel futuro.» 
(da A muso duro)


Nato da una famiglia operaia, a tre anni fu colpito da una grave forma di poliomielite che lo privò della funzionalità degli arti inferiori e lo costrinse a vivere muovendosi su una sedia a rotelle.
Malgrado l'ingombrante presenza della carrozzella visse un'infanzia regolare, ma priva di ogni genere di bene superfluo; secondo quanto raccontato dallo stesso Bertoli, in casa non c'era neppure la radio e per questo motivo la passione musicale del giovanissimo Pierangelo venne essenzialmente dall'esterno, anche se non va dimenticato il ruolo decisivo ricoperto dal fratello e dal complesso di quest'ultimo, che all'inizio degli anni sessanta si riuniva proprio in casa Bertoli per suonare insieme.
Pierangelo conosceva già la discografia di alcuni cantanti famosi, come per esempio Sinatra, ma non possedeva alcuna nozione di strumenti musicali e tecniche interpretative. In pochi mesi Bertoli imparò a suonare la chitarra, che di lì a poco sarebbe divenuta il suo strumento preferito.
A ventitré anni gli diedero una vecchia chitarra e dopo un anno di esercizi da autodidatta, cominciò a comporre le prime canzoni e le suonò dapprima di fronte agli amici e poi davanti a platee sempre più vaste, soprattutto in occasione di feste di paese e di partito.
Il legame con la sua terra d'origine, oltre a non allontanarlo dalla sua città natale, gli fece comporre numerose canzoni in dialetto modenese.
Nei primi anni settanta, Pierangelo Bertoli entrò nell'Unione Comunisti Italiani (marxisti-leninisti) di Aldo Brandirali e, con altri musicisti militanti del partito (Bartolo Bruno alla fisarmonica e alle tastiere, Lello Zacquini alla chitarra, Alberto Bocchino al basso e Claudia Montis alla voce), formò il Canzoniere del Vento Rosso,[8] pubblicando con la casa editrice del partito, la Servire il popolo, i primi 45 giri tra il 1973 e l'anno successivo: Marcia d'amore/Per dirti t'amo, Scoperta/Marcia d'amore e Matrimonio/L'autobus.[9] Sempre nel 1973 pubblicò il primo album studio, Rosso colore dell'amore (poi ristampato postumo in CD dalla American Records nel 2006), contenente in tutto dodici brani, comprese due delle canzoni uscite poco tempo prima in formato singolo, L'autobus e Per dirti t'amo; l'album viene anche stampato in Germania Ovest, a cura del Kommunistische Partei Deutschlands, e ciò comportò una tournée di Bertoli che toccò, tra le altre, Monaco di Baviera, Francoforte, Colonia, Düsseldorf e Zurigo. Il tour continuò poi in Italia, in una forma di teatro canzone che alternava i brani musicali con i monologhi di Bertoli.
L'anno successivo viene pubblicato l'album Alla riscossa, a nome del Canzoniere del Vento Rosso (con una formazione cambiata, con Silvana Zigrino e Ciccio Giuffrida al posto di Bartolo Bruno), in cui Bertoli canta; inoltre è anche autore di tre canzoni, tra cui una prima versione di Eppure soffia con un testo diverso e intitolata Mario Bruno.
Scioltosi il partito e, di conseguenza, anche il Canzoniere del Vento Rosso, nel 1975 Bertoli radunò alcuni amici musicisti come Marco Dieci, Francesco Coccapani e Gigi Cervi e realizzò un nuovo disco, Rocablues prodotto dal presidente della squadra di calcio della Sassolese, Carlo Alberto Giovanardi. (Wikipedia)

Non amo trincerarmi in un sorriso, detesto chi non vince e chi non perde, non credo nelle sacre istituzioni di gente che ha il potere e se ne serve.

Pierangelo Bertoli esordisce discograficamente nel 1976 con il 33 giri "Eppure soffia". Il 1977 lo vede pubblicare "Il centro del fiume" e l'anno successivo una raccolta di canzoni in dialetto, "S'at ven in ment". Con "A muso duro", nel 1979, Bertoli realizza il suo primo manifesto poetico, ma è "Certi momenti", nel 1981, a portarlo in classifica, grazie anche al successo radiofonico di "Pescatore", un brano cantato in duetto con Fiorella Mannoia.

Nel 1986 celebra i dieci anni di carriera con "Studio & Live", un doppio album antologico registrato per metà in studio e per metà in concerto. Nel 1987 nasce il progetto dell'album "Canzoni d'autore" un omaggio a cantautori vecchi e nuovi della scena italiana. "Tra me e me", nel 1988, e "Sedia elettrica", nel 1989, chiudono simbolicamente un periodo artistico, insieme allo spot televisivo "Lega per l'emancipazione dell'handicappato", a cui Bertoli partecipa come attore, che vince il Telegatto di Tv Sorrisi e Canzoni.

Il 1990 lo vede pubblicare l'album "Oracoli", che costituisce a suo modo un momento di partenza, e il cui singolo "Chiama piano", è cantato in duetto con Fabio Concato. Il 1991 si apre per Bertoli con una decisione coraggiosa: quella di prendere parte al Festival di Sanremo (vi è poi tornato anche nel 1992), una manifestazione per molti versi lontanissima dalla linea ideologica ed artistica che ha sempre guidato l'attività del cantautore, contrario alla progressiva esaltazione degli aspetti edonistici che la musica commerciale andava sempre più assumendo.

In quest'occasione, invece, l'obiettivo di Bertoli è ben preciso: far conoscere dal palcoscenico più popolare della canzone italiana un brano inusuale e suggestivo, "Disamparados (Spunta la luna dal monte)", presentandolo insieme al gruppo sardo dei Tazenda, in un'ottica di recupero delle tradizioni folcloristiche ed etniche in un momento in cui questo tipo di discorso artistico non era ancora diventato banalmente di moda. Quasi a sorpresa, arrivano un lusinghiero piazzamento nella classifica finale e il grande successo di classifica. "Spunta la luna dal monte" intitola poi un album che raccoglie il meglio della produzione recente del musicista di Sassuolo e che è uno degli album più venduti della musica italiana, tanto da ricevere il disco di platino.

Tra gli altri suoi successi "Sera di Gallipoli" e "Per dirti t'amo" (1976), "Maddalena" (1984) e "Una strada" (1989).

Il cantante e autore emiliano contribuisce anche al lancio del conterraneo Luciano Ligabue, che spesso lo ricorderà nei suoi concerti.

Poco prima di morire (il 7 ottobre del 2002), Pierangelo Bertoli era ricoverato nel Policlinico della sua città, dove si era sottoposto ad un periodo di cure. Sposato con la moglie Bruna, una donna straordinaria che lo ha sempre sostenuto e guidato, ha avuto tre figli, Emiliano, Petra (alla cui nascita Bertoli aveva dedicato una canzone col suo nome) e Alberto, anche lui cantante.

Molto legato alla sua terra (il fratello gestisce un famoso ristorante a Sestola, sull'Appennino) era spesso impegnato in iniziative di solidarietà e beneficenza (aveva cantato anche per i detenuti del carcere di Sant'Anna a Modena e nella città estense nel giugno precedente aveva partecipato al Festival della canzone dialettale esibendosi in diversi brani in modenese). Tra i suoi amici più cari c'era padre Sebastiano Bernardini, il cappuccino vicino alla Nazionale cantanti.

Tra le sue ultime apparizioni quella in primavera per il programma di Rete 4 "La domenica del villaggio" assieme a Caterina Caselli, anche lei sassolese. Con gli altri artisti della cittadina, conosciuta come la capitale della piastrella in ceramica, aveva anche pubblicato un libro e un disco. Aveva fama di essere un uomo duro e scontroso, invece era solo un cantante sensibile che concedeva poco al vittimismo e molto al rigore delle scelte esistenziali. Combattivo e battagliero, incapace di qualunque ipocrisia, ed era per questo spesso descritto nei suoi atteggiamenti con il titolo di una delle sue canzoni più celebri, "A muso duro". (Fonte)

Non so se sono stato mai poeta e non mi importa niente di saperlo riempirò i bicchieri del mio vino non so com'è, però vi invito a berlo.
E le masturbazioni celebrali le lascio a chi è maturo al punto giusto le mie canzoni voglio raccontarle a chi sa masturbarsi per il gusto.
E non so se avrò gli amici a farmi il coro o se avrò soltanto volti sconosciuti canterò le mie canzoni a tutti loro e alla fine della strada, potrò dire che i miei giorni li ho vissuti.

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