Lucinda Williams - Car Wheels on a Gravel Road (1998)

La rottura definitiva col partner di vecchia data Gurf Morlix, una sfilza di controversie coi produttori (prima il citato Morlix, poi un seccato Steve Earle, in tandem con Ray Kennedy nel cosiddetto Twangtrust, e infine un provvidenziale Roy Bittan), sei anni di registrazioni ininterrotte tra Austin e Nashville, vari esaurimenti nervosi: questo, in sintesi, il prezzo pagato da Lucinda Williams per incidere il suo quinto album. Tanto che viene da domandarsi se le aspre recriminazioni tra garage e roots-rock di Joy ("Hai rubato la mia gioia / La voglio indietro / Non avevi alcun diritto di prendere la mia gioia / La rivoglio indietro") non siano in effetti indirizzate allo stesso Car Wheels On A Gravel Road. Considerato il capitolo cruciale della carriera dell'artista, Car Wheels, nondimeno, non risulta il più elegante né il più rockista, non il più suggestivo né il più pestato (titoli che spettano, rispettivamente, a West [2007], Blessed ['11], Essence ['01] e World Without Tears ['03]). Solo, forse, il più sentito, quello maggiormente rappresentativo di un verbigerare intenso, appassionato e spiazzante dove trovano posto, accanto alle storie e ai colori di Texas e Louisiana, il folk straccione e irresistibile delle ballate, i chiari di luna, il rock e le radici, le delusioni e i magoni, la rabbia e lo scetticismo, gli slanci e le nostalgie, la poesia e le birre, il country-blues febbrile di I Lost It e gli anthem rockisti di Metal Firecracker e Drunken Angel. Un disco a suo modo urticante e intossicante al tempo stesso. (Mia valutazione:  Distinto)
(Gianfranco Callieri)

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