Kurt Vile - Wakin On A Pretty Daze (2013)

di Lorenzo Righetto

Se “Smoke Ring For My Halo” era il tuffo dalla rupe (per vari motivi), “Wakin’ On A Pretty Daze” si svolge interamente, e per settanta minuti, nei pochi secondi che passano dall’entrata in acqua al riaffioramento. In questo breve e dilatatissimo lasso di tempo, i raggi di sole rifratti illuminano un universo subacqueo imperturbabile, una pletora di meduse e filamenti d’alghe ondeggianti con la corrente.
Il nuovo disco di Kurt Vile non è certamente il disco prepotente che era il precedente, ma lo supera probabilmente in fascino col suo andamento rallentato, post-sbornia appunto, come sembra suggerire il titolo.

Il drawl scazzato di Kurt è centrale nell’interpretare le molli divagazioni elettriche, Young-iane di “KV Crimes” e “Shame Chambers”, nel riscoprire l’esistenza di cose e persone quando ci si sveglia dopo una lunga notte, con la bocca impastata e gli occhi semiaperti (“Wakin’ On A Pretty Day”). Un momento di confusione totale, di perdita completa dell’identità, uno dei pochi momenti in cui si ha l’illusione dell’innocenza una volta diventati adulti, che Kurt ha il merito di descrivere e portare all’estremo, spingendo sempre più in là le canzoni, fino a farle diventare poltiglia, oppure esaltandole in un sublime formicolio.
Si passa così da un fingerpicking sordo (“Girl Called Alex”) a più acute impressioni arrotate in punta di plettro (“Pure Pain”, pezzo straordinario e mutante, da mostro bifronte a contemplazione desertica), mantenendo i sensi accesi coi vagheggiamenti motorizzati e semi-sintetici di “Air Bud” e “Was All Talk”.

Ci si aggira tra attimi di stordimento e altri di incredibile lucidità, mettendo da parte quasi del tutto le canzoni di “Smoke Ring For My Halo” (eccetto che per “Never Run Away” e “Snowflakes Are Dancing”). Terapeutico e suggestivo (e ottimamente suonato) – ma, a un certo punto, la memoria ritornerà... (4,5/5 voto mio)

Commenti

E T I C H E T T E

Mostra di più