Scusi dov'è il west? #Eric Burdon

Tre “nostri” musicisti si trasferirono in California a fine anni Sessanta per ri-trovare un’ispirazione che sembrava stesse per scomparire. In pochi anni e con pochi dischi segnarono la storia della musica rock, sprigionando un’energia insperata: Eric Burdon, John Mayall, Van Morrison.

Eric Burdon è stato il cantante degli Animals.
Veniva da Newcastle, una zona tipica di cantieri navali e miniere di carbone. Fu un marinaio americano che abitava al piano di sotto a fargli ascoltare Fats Domino, Robert Johnson ma soprattutto Don’t Roll Those Blood Shot Eyes At Me di Wynonie Harris e Sam Jones Done Snagged His Brace di Louis Jordan. Fu allora che decise che avrebbe cantato quel genere di cose.
Gli Animals, nati sulle ceneri dell’Alan Price combo (una formazione di jazz ispirata allo stile del pianista Bill Doggett) sembravano un gruppo destinato a diventare una stella del firmamento inglese considerato che erano partiti con ben sei hit da Top 10 nel biennio 1964-1965. Il loro mentore fu il produttore Mickie Most, che ebbe l’idea di fargli incidere una versione rock di The House Of The Rising Sun, una canzone folk tradizionale che Bob Dylan aveva appena ripreso nel suo primo album. L’apertura di organo che ricordava molto Bach, arrangiata ed eseguita da Alan Price, creava un’atmosfera angosciante. Nonostante le sonorità cupe e la lunghezza di oltre 4 minuti, il disco conquistò la vetta delle classifiche sia inglesi che americane. Una leggenda narra che Dylan, dopo averla ascoltata, decise di elettrificare la sua musica.
Nelle enciclopedie del rock Burdon è un nome piccolo, ma nella mia personale lista è grandissimo.
Altro singolo di grande successo fu We’ve Gotta Get out Of This Place, scritta da Barry Mann e Cynthia Weil, che divenne anche una delle canzoni preferite dai soldati americani in Vietnam.
Cover eccellenti furono Boom Boom di John Lee Hooker e di Don’t Bring Me Down, di Gerry Goffin e Carole King, ma la band non poteva vivere solo di cover quando Lennon-McCartney e Jagger-Richards sfornavano capolavori uno dopo l’altro. Purtroppo Burdon non fu mai in grado di scrivere canzoni che funzionassero per la sua immagine e la sua vocalità e nel 1966 la band cominciò a disgregarsi. Per primo se ne andò Alan Price, poi John Steel e alla fine Burdon abbandonò anche Most e si trasferì in America.
La moda psichedelica andava per la maggiore e Burdon e il chitarrista Hilton Valentine persero la testa per San Francisco, la moda hippie e le droghe. Ambedue cominciarono ad andarci giù pesante con l’LSD. Burdon era intrattabile e violento, Valentine viveva recluso in una stanza d’albergo convinto di essere Gesù Cristo. E fu così che gli Animals americani durarono poco. Intanto il bassista, Chas Chandler, ebbe la fortuna di scoprire in un club di New York un giovane chitarrista nero, Jimi Hendrix, che convinse a trasferirsi in Inghilterra e a fargli da manager. Burdon non si arrese, fondò i New Animals e si allontanò (quasi) definitivamente dal blues. Ebbe la fortuna di essere accettato dai Mama’s and Papa’s al festival di Monterey (con gli Who come “next big thing from UK”, ma con un’esibizione alquanto moscia e una scelta di brani infelice), catturò lo spirito dei tempi in due 45 giri, Good Times e l’anthem marziale San Franciscan Nights, che è un altro dei suoi capolavori e nell’album Wind Of Change (1967) dove inserì una bella versione live di Paint It Black dei Rolling Stones. In due anni la band registrò quattro dischi e si creò un discreto seguito nella baia, con qualche singolo di grande successo come When I Was Young e Sky Pilot (nelle top 10). Forse il suo capolavoro di questo periodo è The Twain Shall Meet, del 1968, una raccolta di canzoni raffinate quanto strane (il raga jazzato di Monterey, scritto subito dopo la partecipazione al festival nel giugno del 1967, il blues di White Houses, il delirio cosmico-psichedelico di Sky Pilot, musica per pio- nieri dello spazi con cornamuse scozzesi (?!?), e We Love You Lil) che lo consacra comunque “un cantore di quella generazione, un musicista in delirio orgasmico ma al tempo stesso consapevole e creativo” (Scaruffi), “che naufragava nel grande oceano della musica che cambiava” (Bertoncelli).
Everyone Of Us (1968), è un collagedelirio di venti minuti e il doppio ambizioso Love Is (1969), una raccolta di covers forte delle due chitarre soliste di John Weider (poi nei Family) e Andy Summers (futuro Police) e di brani ancor più sconclusionati ed estesi (in gran parte classici del rock, compresa una versione sterminata della The Madman Running Through The Fields di Zoot Money il quale doveva essere affascinato da quelli un po’ fuori di testa perché poco dopo si chiuderà tre giorni in stiudio con un altro fuso dall’LSD, Peter Green per le sessions di The End Of The Game).
Nell’ottobre del 1968 Bardon suonò per due giorni al Fillmore East insieme a Sly & The Family Stone. Nel 1969 incise Eric Is Here e ingaggiò il gruppo di soul-funk californiano War per accompagnarlo.
L’esperienza durò due anni, durante i quali incise due dischi, Eric Burdon Declares War (1970) con una bella lunga versione di Tobacco Road, e il doppio The Black Man’s Burdon (1970) che contiene un’ulteriore versione di Paint It Black. Nel 1971 si associò al bluesman Jimmy Witherspoon per l’album Guilty!, si trasferì a Los Angeles e se ne persero le tracce. Bisognerà aspettare il 1977 per ritrovarlo, quando gli Animals si riformeranno per un album eccellente come Before We Were So Rudely Interrupted.
Diventerà uno dei tanti musicisti che girano per l’Europa e l’America (ha anche militato in un complesso tedesco) campando su un glorioso passato. Il 15 marzo del 2012 ad Austin, Texas, è salito sul palco di Springsteen cantando Many Rivers To Cross e We Gotta Get Out Of This Place.
Stato attuale oggi: “antipatico e alcolizzato”.
(Max Stefani - Outsider)

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