Richard Thompson - Eletric (2013)


di Giancarlo Susanna

Frequentando, come ci capita sempre più spesso, i social networks, abbiamo notato di recente la presenza in prima persona di Richard Thompson, fatto piuttosto strano, vista e considerata la quasi leggendaria ritrosia a esporsi del musicista inglese.
Non ci stupirebbe, a questo punto, se la sua popolarità, limitata da sempre all’ambito del culto, aumentasse sensibilmente. Ed è inutile dire che ne saremmo più che felici, vista e considerata la qualità pressoché indiscutibile dei suoi dischi e dei suoi concerti. Questa qualità ci è sembrata, in passato, quasi controproducente: siamo così abituati alla nettezza del suo profilo di autore e chitarrista, che a momenti non ci facciamo più caso.
La rete ci permette di ascoltarlo e vederlo mentre è in tour negli Stati Uniti e divide il cartellone con Emmylou Harris e Rodney Crowell. In teoria, il pubblico della regina del country rock e del suo cavalier servente dovrebbe reagire con sconcerto al suono micidiale del trio guidato da Thompson – non solo per il suo innegabile impatto, ma anche per il mondo poetico tipicamente britannico che vive nelle sue canzoni – e invece no, questo pubblico si fa coinvolgere e resta a bocca aperta quando nelle scalette tratte soprattutto da Electric fanno capolino classici da “power trio”come White Room dei Cream. Scelte legittime, si badi bene, perché Thompson, “wonder boy” poco più che adolescente scoperto da Joe Boyd, ha esordito sulle scene londinesi nel 1968 con i Fairport Convention. Lui c’era, per dirla con chiarezza, e divideva con Syd Barrett il titolo di più originale e creativo chitarrista britannico. Niente a che vedere con gli “studenti del blues”, che in ogni caso contribuirono a fare di Londra la città leader del rock mondiale. La spiccata adesione alla cultura inglese è una delle chiavi per spiegare il relativo insuccesso di Thompson. Facciamo un rapido esempio: pensate alla copertina del terzo LP dei Fairport, Unhalfbricking.
La foto ritrae in primo piano i genitori di Sandy Denny, la voce bellissima della band, mentre i Fairport si intravvedono sullo sfondo in un giardino. L’immagine fu giudicata “troppo inglese” dalla A&M, partner statunitense della Island, e sostituita da quella di una parata circense di elefanti (!). Stessa cosa anche qui in Italia, (dove la Ricordi si accontentò di una semplice rielaborazione grafica, una soluzione che ha fatto diventare l’Unhalfbricking italiano un oggetto molto ricercato dai collezionisti). “Troppo inglesi” i Fairport? Ora sembra, come dicevamo, che le cose siano molto cambiate e Richard Thompson ha nell’essere inglese il suo punto di forza.
In questo senso, Electric è davvero esemplare. Le storie che Thompson racconta in questo album affondano le loro radici nelle canzoni che il cantautore e chitarrista scriveva già al principio della sua vicenda artistica. Pensiamo a Genesis Hall e a due dischi fondamentali: Henry The Human Fly e I Want To See The Bright Lights Tonight. Stupefacente come sempre è la padronanza della chitarra (acustica o elettrica che sia) e formidabile il piglio, quello stile tagliente e aggressivo che rende Thompson un artista unico. Ci sono molti momenti memorabili, in Electric.
Noi ci accontentiamo di segnalarvi The Snow Goose, un “instant classic” acustico davvero strepitoso. (3,5/5 voto mio)

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