Laura Mvula - Sing To The Moon (2013)


di Gabriele Antonucci

È ancora possibile nel 2013 proporre una musica che, pur debitrice della grande tradizione del soul, suoni fresca e originale?
Dopo aver ascoltato Sing It To The Moon di Laura Mvula,ventiseienne di Birmingham con un diploma in composizione, la risposta non può che essere affermativa. In Inghilterra è già scattato il gioco dei paragoni: c’è chi vede in lei l’erede di Amy Winehouse, chi la nuova Adele, altri ancora accostano la sua voce a quella di Emeli Sandé. Paragoni poco adatti a cogliere la musica della Mvula che, ricca e stratificata com’è, sfugge alle facili etichette. Adele ed Emili Sandè si muovono in territori più vicini al pop patinato che al soul, Amy Winehouse aveva una drammaticità e uno struggimento che non ritroviamo in Sing I t To The moon. I colori tenui, i chiaroscuri, i sentimenti genuini, le emozioni delicate ma persistenti caratterizzano questo album, uno dei più interessanti del 2013. Il soulgospel di Laura Mvula è sospeso, meditativo, quasi celestiale, si insinua a poco a poco nel cuore dell’ascoltatore, trasportandolo in un ponte spazio-temporale tra Africa e Inghilterra, tra campi di cotone e palcoscenici di Broadway, tra passato e modernità.
La sobria copertina, a sfondo bianco, ha in primo piano il volto di Laura: capelli cortissimi, zigomi alti, naso delicato, labbra carnose, uno sguardo fiero e dolce allo stesso tempo. Non sarà una bellezza da copertina come Beyoncé o Rhianna, ma la sua è una figura elegante e ricca di fascino, che non vuole attirare lo sguardo per il suo aspetto, ma per le sue canzoni. Per descrivere la sua musica è stato coniato un neologismo, gospeldelia, un mix tra gospel e psichedelia, come se Nina Simone cantasse i Beach Boys di Pet Sounds. Le orchestrazioni emozionanti ed avvolgenti di Brian Wilson e del suo maestro Phil Spector si avvertono fin dall’inizio nella splendida Like The Morning Dew, che sembra mettere in chiaro: questo non è un album pop, ma qualcosa di completamente diverso. In pieno stile Pet sounds è anche Is There Anybody Out There?, sia per il leggero riverbero che dona un’aura di magia al brano che per le armonizzazioni vocali alla Beach Boys. Un brano che piacerà certamente a Brian Wilson. Il singolo Green garden, sorretto da un incalzante handclapping e da sapienti spruzzate di elettronica, è sensuale e trascinante, mentre l’altra hit She, nella sua apparente semplicità, è una gemma ricca di pathos, che si apre a poco a poco fino ad esplodere in cori gospel che si rincorrono e che si sovrappongono in un climax di grande emotività. «Can’t live with the world» è un trionfo di archi, arpe e contrabbasso che si fondono con la voce sinuosa della Mvula, mentre la ballad minimale Father, Father rivela anche le sue doti di pianista. Le percussioni afro e l’accattivante ritornello di That’s Alright rendono il brano perfetto per l’airplay radiofonico. La title track Sing It To The Moon, scandita dall’incedere marziale della batteria, ha un sapore cinematico, da titoli di coda di un film drammatico.
L’album si chiude con due raffinate ballad, I Don’t Know What The Weather Will Be e Diamonds, intervallate dal mid-tempo di Flying without you, con un muro del suono tipicamente spectoriano. «Queste canzoni sono state una fantastica terapia per me - ha sottolineato la Mvula - Evocano le emozioni di essere persi o lasciati. A volte le cose sono complicate, dolorose e la musica è stata una parte del processo per superarle». In Sing It To The Moon la cantante dimostra di avere le stimmate della grande artista. Nel firmamento del soul ora brilla una nuova stella. (3,5/5 voto mio)

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