Bassekou Kouyate & Ngoni Ba - Jama Ko // Rokia Traore – Beautiful Africa

di Andrea Hawkes

Il fascino che la musica del Mali esercita sulle nuove e vecchie leve del rock anglo americano è difficilmente quantificabile, ma è sicuramente una delle trame più interessanti nella narrazione trasversale della nostra musica preferita. I vecchi rocker come Robert Plant, che ben si ricordano dell’impatto che il blues ebbe sulle loro vite, hanno scoperto nella musica dei Tuareg una nuova fonte incontaminata simile al blues, ma con caratteristiche inimmaginabili fino a qualche anno fa. Una forma di blues aliena. Chitarristi come Ry Cooder hanno scoperto con gioia che il loro strumento non aveva ancora detto tutto e che era possibile uno stile fresco e nuovo, allo stesso tempo arcaico e accessibile, ma dall’impatto travolgente. I musicisti d’avanguardia e quelli indie, con Damon Albarn in prima fila, sono attratti dai ritmi contagiosi e dall’elemento di ribellione che è molto più autentico che in qualsiasi genere musicale del nord tecnologico del mondo. La musica del Mali è una risorsa cruciale e fino a qualche mese fa apparentemente inesauribile, ma rischia oggi di scomparire sotto la spinta degli insorti islamici che stanno cercando di zittire ogni forma di musica popolare. Nascono sotto la luce sinistra della violenza e della repressione i nuovi dischi di Bassekou Kouyate e Rokia Traorè.
Lo ngoni è un liuto a quattro corde che usa come superficie risonante una pelle d’animale e Kouyate, che è un grande virtuoso dello strumento, ne ha elaborato versioni moderne elettrificate e la band è costituita da quattro ngoni di dimensioni, numero di corde e tonalità differenti più le percussioni e le voci della moglie di Kouyate, Amy Sacko e di ospiti illustri fra i quali spicca Taj Mahal. Lo stile strumentale è incendiario e caratterizzato da un grande uso del wha wha, ma il fascino di Jama Ko (“Qui fuori”) non sta solo nella musica che è, senza mezzi termini, splendida, ma anche nella sua valenza politica, nel suo essere un’appassionata difesa della cultura del Mali. Sinaly si rifà ad episodi storici per attaccare i sostenitori dell’imposizione della legge islamica nel nord del paese, Ne me fatigue pas è una rabbiosa reazione al colpo di stato militare, mentre la canzone che dà il titolo all’album è una preghiera per il ritorno alla tolleranza del passato. L’ottimo suono del disco è opera di Howard Bielerman, già batterista e produttore degli Arcade Fire.
La produzione di Rokia Traorè è invece opera di John Parish, da sempre uomo di fiducia di PJ Harvey e straordinaria mente musicale. Parish preferisce panorami sonori scarni. Il vuoto in musica è particolarmente adatto a restituire il senso dei grandi spazi ed è perfetto per questa operazione che, rispetto agli altri dischi della Traorè suona decisamente più rock, anche a causa del fatto che invece dei complicati incastri poliritmici tipici della concezione africana, il compito di ancorare la musica al suolo tocca al superlativo batterista Seb Rochford. Beautiful Africa è basato sull’intreccio delle chitarre e sulle figure circolari dello ‘ngoni sui quali vola libera la meravigliosa voce della Traorè, che è anche una virtuosa della sei corde. L’altro chitarrista è Stefano Pilia dei Massimo Volume che svolge il suo compito da vero fuoriclasse. Beautiful Africa è il canto d’amore per la sua terra dell’esule volontaria Rokia Traorè ed è un album evocativo e perfetto nella sua insularità. Massimo dei voti per entrambi i dischi. (4/5 voto mio)

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